Investimento del pedone che si schianta contro il palo della segnaletica stradale (Cassazione penale, sez. IV, dep. 21/09/2022, n.34971).
Investimento del pedone che si schianta contro la segnaletica stradale.
La Corte d’appello di Ancona ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pesaro, con la quale l’automobilista veniva condannato in ordine al delitto di cui all’art. 590 bis c.p., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 6 di reclusione condizionalmente sospesa e alla sanzione ammnistrativa della sospensione della patente per la durata di anni 2, concedendo il beneficio della non menzione della condanna, per l’investimento del pedone che andava a schiantarsi, a causa dell’urto, contro il palo della segnaletica stradale.
Nello specifico, il 29 marzo 2018, l’imputato alla guida della sua auto, giunto in prossimità di una intersezione, mentre stava per effettuare la manovra di svolta a sinistra, non si era accorto del sopraggiungere del pedone che, procedendo da sinistra verso destra, si trovava quasi al centro della intersezione della strada in fase di attraversamento sulle strisce pedonali, e lo aveva così urtato, catapultandolo contro il palo della segnaletica stradale ubicato sul marciapiede. A seguito dello scontro il pedone riportava lesioni personali consistite in frattura ossa facciali e contusioni escoriate, dalle quali era derivata una malattia giudicata guaribile in più di 40 giorni.
L’addebito di colpa nei confronti dell’imputato è stato individuato nella imprudenza, negligenza ed imperizia e nella violazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 191, comma 4.
La decisione viene impugnata in appello.
Con il primo motivo, per quanto qui di interesse, l’imputato deduce violazione di legge (ed in specie degli artt. 40,43 e 590 bis c.p.) e il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della responsabilità penale. La Corte non avrebbe considerato che l’imputato era affetto da un deficit visivo, all’epoca ancora a lui ignoto, conseguente ad un macroadenoma ipofisiario, con effetto massa sulle vie ottiche del diametro di 3 cm, che aveva inciso sulla capacità di avvistamento del pedone, come chiarito anche dalla relazione medico legale in atti. In ragione di tale menomazione fisica, la colpa dell’imputato doveva essere esclusa, versandosi in una ipotesi di caso fortuito.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Nel caso in cui il Giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218).
La Corte di Appello ha esaminato il rilievo difensivo in merito alla configurabilità nella vicenda in esame del caso fortuito quale causa di esclusione della colpa per l’investimento del pedone e, con motivazione esente da profili censurabili, ha ritenuto che l’imputato non si fosse trovato nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e osservarne tempestivamente i movimenti.
In particolare i Giudici, in relazione alla dedotta incidenza della neoplasia sulla capacità visiva dell’automobilista, hanno rilevato che, anche a voler ammettere che già sette mesi prima della diagnosi detta patologia avesse già determinato un deficit visivo, potevano in astratto essersi verificati due diversi scenari: o l’imputato, come precisato dallo stesso consulente di parte, non si era ancora accorto del deficit in quanto compensato dall’occhio sano che, dunque, gli permetteva una vista ed una visuale completa, oppure l’imputato si era accorto di avere un campo visivo limitato, tale da doverlo indurre ad astenersi dal guidare, con il che non si verserebbe più in ogni caso in una situazione di eccezionalità ed imprevedibilità.
A fronte di tale percorso argomentativo, né contraddittorio né manifestamente illogico, il ricorrente ha ribadito le censure già avanzate in sede di impugnazione, senza confrontarsi con le ragioni esaustivamente esplicitate nella sentenza di appello e si è limitato a riproporre una lettura alternativa della condotta, che fra l’altro nella stessa prospettazione della consulenza medico legale richiamata, era indicata in termini di mera plausibilità e dunque del tutto ipotetici.
Il ricorso viene dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Avv. Emanuela Foligno
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