Madre e sorella della vittima invocavano il danno esistenziale quale voce autonoma rispetto al danno da perdita parentale per l’investimento della moto condotta dal congiunto
“In virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca”. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 8622/2021 pronunciandosi sul ricorso della madre convivente e della sorella di un uomo morto in un incidente stradale che avevano agito in giudizio per vedersi riconoscere il risarcimento dei danni da parte di conducente, proprietario e impresa assicuratrice del veicolo per l’investimento della moto condotta dalla vittima.
Il Tribunale, dato atto del già avvenuto versamento di 290.000,00 euro alla prima e di 50.0000,00 euro alla seconda, aveva condannato i convenuti, in solido, al pagamento delle somme residue pari rispettivamente a 17.734,66 euro e 69.160,60 euro.
La Corte di Appello aveva poi riformato parzialmente la sentenza, riconoscendo alla madre il risarcimento del danno patrimoniale (quantificato in 52.939,15 euro, oltre interessi legali dalla data della sentenza) che era stato negato dal primo giudice.
Le due donne si erano tuttavia rivolte alla Suprema Corte di Cassazione lamentando, tra gli altri motivi “violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e degli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione (art. 360 c.p.c. n. 3) in relazione all’illegittima esclusione del danno esistenziale” e censurando la sentenza di merito per non aver liquidato, oltre al danno correlato al dolore per la perdita del congiunto, anche quello “esistenziale” conseguente all'”alterazione” e allo “sconvolgimento di vita” subito dalle ricorrenti.
Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto la doglianza infondata.
“Il danno conseguente alla morte di un congiunto (o “danno parentale”) – hanno chiarito dal Palazzaccio – consiste, di per sé, nella perdita della relazione col familiare e si sostanzia – al tempo stesso e congiuntamente – nella sofferenza interiore e nell’alterazione del precedente assetto esistenziale del congiunto superstite; entrambi gli aspetti, che sono intimamente connessi, benché suscettibili, nelle singole ipotesi, di una valutazione separata, sono considerati dalle tabelle in uso per la liquidazione del danno parentale, cosicché il riconoscimento di un importo per danno esistenziale ulteriore rispetto a quello liquidato per il danno da alterazione del precedente assetto relazionale della vita si risolverebbe in un’inammissibile duplicazione risarcitoria”.
La Cassazione ha pertanto ribadito che “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di lesione alla salute, ogni ‘vulnus’ arrecato ad altro valore costituzionalmente tutelato va valutato ed accertato, all’esito di compiuta istruttoria, in assenza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche”.
Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva correttamente considerato entrambe le componenti del danno da perdita del rapporto parentale, ed aveva altrettanto correttamente proceduto alla relativa liquidazione, con motivazione del tutto scevra da vizi logico-giuridici e per ciò solo incensurabile in sede di legittimità.
La redazione giuridica
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