In caso di tentativo di suicidio da parte del paziente psichiatrico la struttura sanitaria che l’aveva in cura risponde delle lesioni a prescindere dal carattere volontario od obbligatorio del trattamento sanitario praticato in concreto

“Qualsiasi struttura sanitaria, nel momento stesso in cui accetta il ricovero di un paziente, stipula con esso un contratto dal quale discendono due obblighi autonomi e distinti consistenti, per un verso nel dovere di apprestare al paziente tutte le cure richieste dalla sua condizione e, per altro verso, in quelli di assicurare la protezione delle persone di menomata o mancante autotutela giacché tale protezione costituisce per tali soggetti una parte essenziale della cura”. E’ quanto si legge nella sentenza con cui la Corte di appello di Messina ha riconosciuto alla famiglia di una 18enne, ricoverata nel 2003 presso il Policlinico del capoluogo di provincia siciliano, un risarcimento di oltre 500 mila euro per l’invalidità permanente al 50% riportata a seguito di un tentativo di suicidio lanciandosi da un finestra della struttura sanitaria.

Per i Giudici della Corte territoriale, infatti  “l’atto lesivo è stato reso possibile da una condotta macroscopicamente negligente degli operatori dell’Azienda Ospedaliera resa ancor più grave dalla consapevolezza che il reparto nel quale era ricoverata la ragazza era destinato ad ospitare pazienti psichicamente fragili”. 

La cifra – come riporta Messina Today – dovrà essere versata in solido dall’Azienda ospedaliera (circa 400 mila euro) e dal primario del reparto di neuropsichiatria infantile (circa 135 mila euro).

Come riportato nelle motivazioni della sentenza, la struttura sanitaria “assume non solo l’obbligazione concernente la prestazione di ricovero e cura ma anche tutte le obbligazioni accessorie e strumentali finalizzate al suo esito positivo e, con esse, anche quella di salvaguardare la salute del paziente da atti autolesionistici da lui realizzabili e ciò, a maggior ragione, ove tali condotte si profilino come possibili o pronosticabili in ragione della patologia di cui il soggetto è affetto”. 

Pertanto – sottolinea ancora il Collegio distrettuale – “ove un paziente ricoverato per disturbi mentali tenti il suicidio riportando lesioni personali, la struttura sanitaria che l’aveva in cura risponde di tali lesioni a prescindere dal carattere volontario od obbligatorio del trattamento sanitario praticato in concreto, non potendo quest’ultimo condizionare l’obbligo di sorveglianza da parte del personale sanitario”.

L’obbligo in questione, infatti, “scaturisce ipso facto dall’accettazione del paziente e, come tale, prescinde dalla capacità di intendere e di volere di quest’ultimo – né esige che lo stesso sia sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio – giacché anche una persona perfettamente capace di intendere e di volere può avere bisogno di vigilanza e protezione per evitare che si auto-procuri un danno, come nel caso di degente non autosufficiente.
Pertanto, l’obbligo di vigilanza e protezione del paziente grava sulla struttura sanitaria nei confronti d tutti i pazienti: malati di mente e malati di corpo, capaci o incapaci di intendere e di volere”.

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