“Il medico ospedaliero che completi con una annotazione, ancorché vera, un certificato medico già redatto, in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale, commette reato di falso in atto pubblico, a nulla rilevando che il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale”.  Cass. Pen. Sez. V, sentenza 15 settembre – 9 novembre 2015, n. 44874.

Falsum est quidquid in veritate non est sed pro vero adseveratur (PAULUS, Sent. 25,3)

Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione e’ da tre a dieci anni. (art. 478 c.p).

Lo scorso 9 novembre 2015 la Suprema Corte di Cassazione depositava una sentenza di condanna nei confronti di un medico, in servizio presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Camerino, poiché nella sua qualità di pubblico ufficiale, alterava un certificato medico relativo ad un paziente del servizio sanitario medesimo, nella specie, aggiungendo, alla parte relativa alla diagnosi, la dicitura “sospetta peritonite”. Già condannato dalle Corti territoriali di merito per il delitto di falso in atto pubblico, l’imputato proponeva ricorso dinanzi ai giudici di legittimità, lamentando l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli art. 476 e 479 cod. pen. Il falso ideologico – dichiarava la Difesa – “si configura qualora si alteri dolosamente il nucleo clinico centrale dell’atto medico, laddove nel caso di specie l’apposizione della seconda diagnosi sui moduli rimasti presso il Pronto Soccorso fu fatta dal ricorrente al solo scopo di dare completezza alla certificazione ed è stata effettuata in buona fede.

L’apposizione della diagnosi formulata dagli altri medici non ha natura di atto pubblico, poiché non è stata riportata una falsa attestazione, ma di mera attestazione concernente il quesito diagnostico, laddove il pubblico ufficiale si è limitato a riportare quanto accertato da altri e per mera completezza dell’indagine clinica”. “La diagnosi del medico –continuava la Difesa – costituisce un “giudizio”, non un “fatto”, per la sua opinabilità, sicché quanto riportato dal ricorrente non potrebbe mai integrare la fattispecie di reato contestata”. Ma è proprio così? In verità, le argomentazioni avanzate dal ricorrente non furono ritenute sufficienti dai Supremi giudici, che al contrario, confermando quanto già esposto dai giudici di merito, rigettavano il ricorso perché inammissibile, dichiarando quanto segue.

“Pienamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 37314 del 29/05/2013 – dep. 11/09/2013, P, Rv. 257198 in una fattispecie relativa all’alterazione di una cartella clinica), il giudice di appello ha ritenuto che integri il reato di falso materiale l’alterazione di un certificato medico mediante l’aggiunta di una annotazione, ancorché vera (il che priva di rilievo l’argomentazione difensiva incentrata sulla buona fede dell’imputato), in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale, a nulla rilevando che il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale, in quanto la certificazione medica del Pronto Soccorso acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità dei suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata, laddove l’annotazione clinica oggetto dell’alterazione in questione è successiva alla redazione dello stesso certificato dei Pronto Soccorso”.

“Risultano, (al contrario) manifestamente infondate, le doglianze incentrate sul prospettato “completamento” del documento pubblico, così come quelle che fanno leva sull’attribuzione alla diagnosi di un carattere di mero giudizio, posto che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la diagnosi riportata nel referto ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale, che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica (Sez. 6, n. 12401 del 01/12/2010 – dep. 28/03/2011, Langella e altri, Rv. 249633). Né può dubitarsi della natura di atto pubblico fidefaciente del certificato in questione, natura riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte sulla base del rilievo che l’atto pubblico fidefaciente è caratterizzato – oltre che dall’attestazione di fatti appartenenti all’attività dei pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione – dalla circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè precostituito a garanzie della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice (Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014 – dep. 13/03/2014, Amoroso e altri, Rv. 260208)”.

Ebbene, la lettura della sentenza odierna non lascia spazio a dubbi od interpretazioni residuali. Circa la condotta antigiuridica va detto che per il pubblico ufficiale, sono previste due distinte ipotesi di falsità, la falsità materiale (art. 476-477-478 c.p) e la falsità ideologica (art. 479-489 c.p.) in atti pubblici, certificazioni, autorizzazioni amministrative, attestazioni etc. La diversità tra le due fattispecie si afferma nella specifica attività che il pubblico ufficiale svolge: formazione materiale del documento da una parte e fissazione del contenuto del documento (attività di attestazione) dall’altra. Gli elementi su cui la falsità materiale essenzialmente si fonda, perché essenziali a garantirne la genuinità, sono gli estremi della provenienza del documento (autore, data, luogo della sua formazione, etc.) che restano inviolati nella falsità ideologica, nella quale la falsità cade, sulle attestazioni del pubblico ufficiale.

Per tale ragione la falsità relativa alla prima parte del certificato medico, rientra nell’art. 479 c.p., mentre la falsità della seconda parte verrà ricompresa nell’art. 480 c.p. Ora, nell’esercizio di una professione sanitaria, quale servizio di pubblica necessità, la falsa certificazione si realizza nella non veritiera attestazione di fatti che il medico certificante dice di aver appreso o di atti che dice di aver compiuto. Per giurisprudenza costante, il certificato rilasciato dal medico convenzionato con U.S.L. deve ritenersi un atto pubblico, in quanto il medico svolge funzioni pubbliche nell’ambito del servizio sanitario nazionale, anche se in forza di un negozio di natura privatistica (Trib. Taranto, Sez, I, 24.11.2014 secondo cui “integra il reato di falso materiale in atto pubblico e non quello di falso in certificato, la condotta di colui che formi un falso certificato medico attestante una falsa diagnosi asseritamente alla caduta nella sfera conoscitiva del redigente apparente, poiché gli atti pubblici, a differenza dei certificati che rivestono carattere derivato, ovvero attestano dati noti al pubblico ufficiale per la loro provenienza da altri documenti ufficiali, documentano un’attività compiuta dal pubblico ufficiale che lo redige e fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti”).

A tal proposito, si è anche affermato che il certificato medico ha una doppia natura, in quanto lo stesso assume la natura di atto pubblico per quella parte che riguarda la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e contenente le attestazioni relative all’attività svolta, come la visita medica, nonché le dichiarazioni relative ai fatti avvenuti in sua presenza o da lui rilevati come gli eventuali sintomi; per quanto concerne, però, la parte relativa a giudizio diagnostico e prognostico, questa ha natura di certificato, in quanto è basato su conoscenze scientifiche del pubblico ufficiale, nonché perché costituisce una valutazione dei fatti accertati, che non può mai acquisire valore fidefaciente. (Trib. Napoli, Sez. XVIII, 20.02.2013, n. 460).ed infatti si legge nella pronuncia del Trib. Milano Sez. VI, 18.04.2011 che il “certificato medico redatto dal sanitario è un atto pubblico che fa fede fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha stilato, nonché dei fatti che in esso il pubblico ufficiale attesta di aver compiuto o essere accaduti in sua presenza. La predetta fede privilegiata non può però estendersi anche ai giudizi valutativi che il medico ha in quella occasione espresso in merito allo stato della malattia”.

Al riguardo, vale la pena rammentare un’altra, seppure meno recente ma altrettanto importante, sentenza della Suprema Corte di Cassazione ove si afferma che “integra il delitto di falsità materiale commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefaciente, la condotta del medico ospedaliero che rediga un certificato con false attestazioni, in quanto ciò caratterizza l’atto pubblico fidefaciente, anche in virtù del disposto di cui all’art 2699 c.c., e – oltre all’attestazione di fatti appartenente all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione – la circostanza che esso sia destinato “ab initio” alla prova e cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice; ne deriva che la diagnosi riportata nel certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione – caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale – che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica.

Nella specie, il medico aveva aggiunto al testo originario l’ulteriore attestazione della rottura dei denti incisivi dell’arcata superiore del paziente per consentirgli un maggiore ristoro” – Cass. 16.01.2007, n. 7921, in Rivista Italiana Medicina Legale, 2007, 1438. La vicenda odierna, allora, stante tutte le premesse fin’ora esposte, non si presta a soluzioni diverse. E a tal proposito, mi piace concludere con queste parole. “Compito del medico non è quello di certificare l’interesse dell’utente, bensì quello di attestare l’effettività della realtà di una condizione clinica alla quale l’interesse è subordinato, senza dimenticare che il certificato non corrispondente al vero può rappresentare un danno ingiusto per altra persona o istituto”. (Sul punto si v. GIUSTI, Trattato di medicina legale e scienze affini, Vol.1, p. 75).

Avv. Sabrina Caporale

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