L’adozione internazionale di minori: spunti, criticità e prospettive di miglioramento

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Hurstel afferma che tutti i bambini nascono due volte: “La prima volta secondo natura, in ogni caso nel ventre materno; la seconda secondo la cultura, in cui si inscrive per mezzo di una filiazione e nella quale domina la legge che differenzia i sessi e le generazioni. Tutte le filiazione sono alla fine adottive, allo stesso modo in cui la maggior parte dei bambini sono ‘adottati’dai loro genitori biologici”.

Mi piace partire con questa frase, fortemente carica di significato e al tempo stesso emblematica, che vuole in qualche modo essere il filo conduttore di quanto di seguito si dirà.

Il tema è quello dell’adozione internazionale di minori. E, sul punto, non si può cominciare senza analizzare il dato statistico.

Un crollo vertiginoso e continuo. Così si presentano i numeri delle adozioni internazionali in Italia.

In verità, si tratta di un dato comune al trend mondiale, che di fatto ha visto, negli ultimi anni, i numeri delle adozioni internazionali più che dimezzarsi. Nella specie si conta che in poco meno di dieci anni dal 2004 al 2012 le adozioni internazionali nel mondo sono diminuite del 58,6. E, sebbene l’Italia, sia seconda soltanto agli Stati Uniti per accoglienza a scopo adottivo, continua a vivere problemi sostanziali che impediscono un rilancio e frenano una delle scelte più importanti di famiglie desiderose di avere un figlio.

C’è chi punta il dito alla politica assolutamente disimpegnata e disinteressata verso questa tematica.

In tempi passati, infatti, si era manifestata una grande attenzione da parte delle istituzioni centrali, che con costante e proficuo impegno, avevano efficacemente realizzato tutta una serie di attività, incontri sottoscrizioni di accordi internazionali, tali da portare l’Italia a buoni livelli in materia di adozione sullo scenario internazionale. Da qualche anno, al contrario, si registra il fenomeno opposto. Pare che le Istituzioni, e la politica tutta, si sia completamente dimenticata (ammesso che di dimenticanza possa parlarsi) del tema delle adozioni. Man mano si è visto ridurre le attività e ad oggi – come più volte qualcuno ha evidenziato, manca addirittura un ministro alla guida (sempre che il problema principale fosse da ricercarsi in questo)

Un altro dato che ha concretamente contribuito a provocare il crollo delle adozioni internazionali in Italia, è la progressiva perdita di fiducia da parte delle famiglie rispetto al sistema nel suo complesso. C’è chi vede in esso soltanto l’illegalità, l’ingiustizia, la burocrazia esasperata e i costi eccessivi.

Qualche mese fa, tuttavia, importanti giornali e riviste nazionali intitolavano “La carica dei 101” il fenomeno del tutto inaspettato dell’aumento delle adozioni. 101, l’ondata inaspettata delle nuove adozioni internazionali. 101 bambini, che dall’inizio dell’anno, sono stati adottati, facendo così registrare un aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno passato, del 34,7%circa.

Un risultato positivo che si carica ancor più di significato se si pensa al contesto storico – culturale ed economico che stiamo vivendo negli ultimi anni.

I dati della “crisi”, tuttavia, sono incontestabili e qualcuno addirittura, paventa la possibilità “drammatica” che l’istituto in parola possa “estinguersi”.

Occorre allora una qualche riflessione sul punto.

Era solo il 1968 quando un gruppo di uomini e donne decise di creare un’associazione con lo scopo primario di diffondere in Italia una nuova forma di genitorialità “alternativa”, a quei tempi ancora poco conosciuta e praticata: l’adozione internazionale.

Erano anni in cui la legge in materia di adozione era ancora latente, e si faceva fatica a parlarne; in un simile contesto, i diritti dei bambini stranieri (pochi a dire il vero) inseriti in famiglie italiane, non si poteva certo dire che fossero tutelati; erano anni in cui l’adozione veniva vissuta come qualcosa da “tenere nascosto” e magari di cui “vergognarsi”, se possibile, esclusivamente come soluzione a problemi di infertilità, mai come scelta consapevole di genitorialità né tanto meno, come intervento a favore di un bambino. I tabù e i pregiudizi da sconfiggere erano molti. Dire allora che si diventava genitori e figli non in base alle regole della genetica ma a quelle del cuore, dell’accoglienza, e dire che si diventa genitori e figli vivendo e crescendo insieme era quasi azzardato, oltre che impensabile.

L’adozione più che una scelta diventava una vera e propria sfida con se stessi e prima ancora, con la collettività.

Gli anni sono passati e molte cose sono cambiate, ma le sfide tuttavia, restano. Non ci si può permettere, però di perdere di vista il senso primario di tutto ciò :non esiste alcun diritto ad essere genitori, esiste piuttosto il diritto del bambino a vivere, essere accolto, educato, e crescere in una famiglia che lo ami e lo protegga nella sua pienezza e a di sopra di ogni cosa.

Ebbene, se si sposta tutto su questo piano, se si ritiene, cioè, che l’adozione sia un intervento prima di tutto finalizzato alla protezione del bambino, si corre un rischio: ci si imbatte inevitabilmente in un contesto ben più ampio, che travalica i limiti della sfera domestica e familiare, per inserirsi nel quadro di una politica globale di protezione dell’infanzia. Non bisogna, infatti, dimenticare che uno dei principi fondanti della Convenzione dell’Aja e di altre convenzioni internazionali è che l’adozione è un intervento sociale e giuridico che stabilisce un rapporto di paternità e maternità tra due adulti e un bambino non nato da loro.

Il discorso, in questo senso, si fa alquanto complicato poiché implica il coinvolgimento di altre e più ampie discipline.

L’adozione internazionale deve rispondere al superiore bisogno del bambino che non può essere subordinato alle richieste delle coppie. Si deve sviluppare il senso di una adozione “consapevole” e occorre, smontare vecchi retaggi, pregiudizi e tabù ancora presenti, ma soprattutto occorre smontare quella sfiducia che oggi regna sovrana tra le famiglie e la società intera.

Non sono pochi quelli che guardano con sospetto all’adozione, considerandola una realtà, in cui troppo spesso dominano la spregiudicatezza, il cinismo e a volte, l’illegalità.

Immagini negative e/o stereotipate dell’adozione e degli adottati, con tutta evidenza, continuano a premere i mass media, con la trasmissione di messaggi che provocano emozioni o catturano l’attenzione della collettività. Ma la famiglia adottiva si differenzia per un aspetto cruciale: essa è caratterizzata da un legame che unisce, indipendentemente dall’eredità genetica; essa esiste e va accettata come forma di genitorialità al pari di quella naturale e biologica, seppure si innesta in una società che primariamente parte dall’assunto per cui la famiglia “reale” dovrebbe essere legata da un vincolo di sangue. (K.Wegar, Adoption, family, ideology and social stigma: hias in community attitudes, asoption resaerch and pracrice, in “Family Relations”, vol. 49, n. 4. 2000, pp. 363-368).

Bisonga, in questo senso, accettare che la famiglia adottiva è una delle forme familiari esistenti, ma ciò non deve necessariamente condurre a valutazioni in termini né migliorativi né peggiorativi rispetto alla famiglia naturale. (K. March, C. Miall, Adoption as a family form, in “Family Relations”, vol. 49, n. 4, 2000, p. 359).

La genitorialità adottiva così come la filiazione è un processo che si articola nel tempo e che richiede agli adulti di sentirsi genitori a tutti gli effetti e di stabilire una relazione familiare in assenza di un legame di consanguineità, riconoscendo e valorizzando la storia personale del minore all’interno di una storia familiare nuova comune. È proprio questo riconoscimento e accettazione reciproca che consente di costruire un processo educativo che coinvolge l’intera famiglia. La dimensione familiare diventa allora determinante per il minore nello sviluppo progressivo della propria personalità e nella costruzione della propria identità.

A tal riguardo, Francoise-Romanine Ouellette affermava l’esistenza di un paradosso dell’identità adottiva, vale a dire una tensione tra la costruzione di una comune appartenenza tra genitori e figli e il riconoscimento dell’origine del figlio adottivo estranea al gruppo familiare. (F.R. Ouellette, C. Methhot, Les references identitaires des enfantes adoptes a l’etranger: entre rupture et continuitè, in “Famililles en mutation”, vol. 16, n. 1, 2003).

La particolarità di una famiglia adottiva, che richiede una conoscenza appropriata e specifica, risiede nell’integrazione di storie familiari diverse e nella costruzione di un legame a partire da una discontinuità di affetti, che per il minore è rappresentata dalla separazione con le figure di riferimento precedenti all’adozione, mentre per i genitori è riferita alla ricerca di un figlio spesso ostacolata da molteplici eventi. (l. Paradiso, Prepararsi all’adozione. Le informazioni, le leggi, il percorso formativo personale e di coppia per adottare un bambino, Unicopli, Milano, 2002). Occorrerebbe a questo punto, una seria e profonda riflessione sul concetto di famiglia, consapevoli però dell’estrema difficoltà di definizione univoca.

Nella nostra società, sostiene Francoise Maury, “quando parliamo di famiglia, intendiamo la famiglia nucleare costituita da una coppia e dai suoi figli. In altri luoghi si intende la famiglia allargata. La genitorialità e la filiazione non sono percepiti nello stesso modo, nelle varie società. Alcune società ad esempio, hanno una struttura di tipo patriarcale, altre matriarcale e così via. Ma questi, sono soltanto alcuni degli esempi possibili”.

In verità esso, è un concetto assai ampio che richiede particolare attenzione e approfondimento. Le limitazioni del presente articolo, tuttavia, non ci permettono ulteriori digressioni.

Una domanda però è consentita: come si potrebbe mantenere la dimensione domestica di famiglia come da noi intesa in un fenomeno (di adozione) internazionale?

Qualcuno scriveva che “Le nostre prime e più profonde radici affondano nella famiglia e nella casa in cui siamo nati; vanno a formare quei solidi sentimenti , positivi verso noi stessi e i tenaci legami emotivi con gli altri, che ci ancoreranno saldamente alla vita. Alimentando la nostra sicurezza e permettendo di superare indenni le avversità dell’esistenza ( B. Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, Milano, 1987).

Molto spesso, però, un bambino adottato potrebbe non aver mai avuto una casa, una famiglia, al massimo ha instaurato un legame naturale e fisiologico con l’ambiente in cui è cresciuto e che condizionerà la costruzione della sua identità e in generale, della sua vita.

Il discorso sull’adozione dovrebbe, perciò essere condotto, con molta attenzione, aprendo anche a riflessioni su questioni particolari, che coinvolgono sentimenti, stati emotivi ed emozionali.

Quello che, comunque, più di tutti rileva in questa sede, è l’attenzione verso quelle coppie di aspiranti genitori, e il discorso scivola inevitabilmente al problema della formazione di queste ultime, e dell’intero nucleo familiare che, in assenza o in presenza di figli, talvolta adottivi, si prepara a vivere una esperienza nuova complessa e definita e al tempo stesso imprecisa nella forma e nei confini. La coppia dei futuri genitori, infatti, a partire da un dato momento del percorso adottivo, sa che adotterà, ma non conosce il momento in cui accoglierà il minore e colui che andrà ad adottare, che sarà un minore, raramente neonato, con caratteristiche singolari ed uniche.

Ed, invero, quando si inizia a parlare di adozione, in genere non si hanno le idee molto chiare, le informazioni che si trovano in merito sono numerose, ma spesso imprecise o datate.

Non è facile capire come muoversi e da che parte iniziare.

L’adozione si presenta come un evento critico, nuovo e al contempo che può aprire ad aspetti destabilizzanti e/o di ostacolo imprevisti, che può comportare per la famiglia ripensamenti, o che al tempo stesso richiedere alla stessa di reagire e attivarsi per rispondere all’evento. È la stessa etimologia del termine “adottare” dal latino ad e optare, a ricordare che l’adozione è prima di tutto una scelta, inizialmente dei genitori e in seguito del figlio nell’atto di riconoscersi differenziarsi dai genitori.

Il percorso che porta alla costruzione della genitorialità e della filiazione è, tuttavia,  lento e progressivo e richiede la modifica continua delle relazioni: in questo senso, qualcuno parla di “patto adottivo”, inteso come “incastro” di bisogni, aspettative e storia dei genitori e dei figli, in continua rinegoziazione e ridefinizione nella costruzione del legame reciproco. (AA.VV., Il percorso della famiglia adottiva, Unicopli, Milano, 2003, p. 23-30).

Ora se tutto ciò è vero, non si può trascurare il dato dal quale si era partiti: Il calo vertiginoso e continuo delle adozioni. Si tratta di numeri, dati matematici e come tali non suscettibili di diversa interpretazione, al massimo si può scendere a indagare le motivazioni.

Già in precedenza si è parlato della profonda sfiducia, tabù e pregiudizi che fanno da corona all’intero fenomeno delle adozioni e che certamente contribuiscono in maniera negativa a rallentare e dissuadere le aspirazioni di giovani coppie ad “affacciarsi” questo nuovo tipo di esperienza di genitorialità “alternativa”. La sfiducia è in primo luogo data dai tempi necessari perché l’intero iter procedurale si concluda.

È affermazione ormai constante che ogni procedura di adozione dura mediamente 4 anni, (il dato è ricavato dalla semplice divisione del numero delle coppie in attesa con quello del numero di adozioni che ogni anno mediamente si concludono).

In verità in questo caso, più che mai sono sconsigliate generalizzazioni e allarmismi futili. Lo scenario geografico in materia di adozione internazionale è piuttosto vasto e variegato. Le attese più lunghe si registrano, per lo più, per le procedure di adozioni di minori che provengono da paesi dell’Est europeo colpiti da difficoltà economiche, politiche e istituzionali.

I lunghi tempi di attesa e le incertezze sulla conclusione dell’iter adottivo si riferiscono dunque, o quasi esclusivamente alle procedure di adozioni in questi Paesi anche se, ed è il caso di sottolinearlo, molto dipende anche da tutta una serie di altre implicazioni, (ad esempio, i tempi più lunghi si registrano per le adozioni di minori di età inferiore ai tre anni, senza problemi di salute e provenienti da paesi dell’Est europeo).

Dai dati forniti dalla Commissione per le adozioni internazionali (CAI) risulta invece, tralasciando le situazioni di criticità appena ricordate, che il tempo medio di conclusione di una procedura adottiva è inferiore ai due anni con tempi al di sotto di un anno nel caso di adozioni di minori provenienti da paesi asiatici o africani, di minori non piccolissimi o coppie di fratelli.

La fase dell’attesa rappresenta senza dubbio un evento critico per l’aspirante coppia di genitori sia per la sua durata, imprevedibile sia perché molto spesso, essa ha un esito incerto, in quanto l’attribuzione dell’incarico ad un Ente autorizzato non implica di per sé che l’adozione possa essere realizzata.

Per la coppia questo costituisce un momento delicato dove possono riemergere sentimenti e stati d’animo che magari già gli avevano animati prima che si avviassero all’adozione. Nel periodo dell’attesa è infatti forte il rischio di riportare a galla tutte le ansie, le insicurezze, la fatica e lo stress già provati quando la coppia investiva le proprie energie nel tentativo di giungere a una genitorialità naturale. Tutto questo può verificarsi soprattutto in quei casi in cui i coniugi non hanno completamente elaborato ed accettato i sentimenti derivanti dalla presa di consapevolezza )della sterilità.

Si comprende, pertanto, l’importanza che riveste per gli aspiranti genitori il poter contare su un sostegno puntuale e competente durante tutto questo periodo.

Anche l’idea di sottoporsi ad un giudizio, quello di idoneità all’adozione operato dal  Tribunale per i minorenni, comporta ulteriori, paure, insicurezze e ansie, il fisiologico timore di essere valutati che può essere parzialmente stemperato solo con un giudizio dall’esito positivo.

A tal proposito, una riflessione meriterebbe anche l’aspetto relativo al meccanismo di passaggio obbligatorio per il Tribunale dei minorenni. Non si rischia così di ridurre l’intero percorso di adozione ad una mera vicenda processuale (perché è così che viene percepito) piuttosto che ad un atto di amore?

Ciò, peraltro, senza considerare che una volta ottenuto questo lascia passare dal t.m. non è detto che si abbia adozione e comunque se ciò avviene, i tempi di attesa sono lunghi, con i rischi per le famiglie di cui sopra si è già ampiamente accennato.

In ogni caso, è utile ribadire che nel decidere di adottare, i coniugi devono preliminarmente e continuamente affrontare un percorso serio e chiaro circa la propria motivazione e le proprie intime aspettative di diventare genitori.

Un percorso pre adottivo ben organizzato e curato è alla base della realizzazione di una famiglia adottiva consapevole. Ancora oggi in Italia si registrano prassi da Nord a Sud molto differenti. Diversi Tribunali per i minorenni chiedono differenti approcci, i servizi territoriali a loro volta, affrontano il percorso pre adottivo in modo diverso. Se in alcune zone d’Italia vengono rispettati i tempi indicati dalla legge per arrivare  a chiudere un percorso con il tribunale, altrove può passare il doppio del tempo. Se in alcuni luoghi viene chiesta la frequenza di percorsi informativi prima di depositare la propria disponibilità e iniziare l’istruttoria coi servizi, in altri ciò non viene richiesto. Se in alcuni luoghi tali percorsi vengono sostanzialmente offerti da Centri o servizi territoriali, in altri spesso vanno a dipendere dalla presenza sul territorio di privati (anche associazioni familiari) che li organizzano, talvolta con dei costi. Se in alcuni territori esistono protocolli che regolano i rapporti tra gli attori istituzionali che operano per l’adozione, in altri non esistono ancora.

L’esigenza di uniformazione e razionalizzazione delle procedure si impone, allora, con gran forza.

Il sostegno costante alle famiglie, in verità, non può però, limitarsi solamente  alla fase della pre adozione, ma occorre che essa si garantita proficuamente soprattutto nel periodo (almeno nel primo periodo) post adozione.

Anche questo, è un argomento per nulla semplice.

Come anticipato la genitorialità adottiva, rappresenta un’esperienza per molti aspetti differente per le complesse esperienze che caratterizzano i bambini e per i contenuti che richiede di affrontare. Tra l’altro queste differenze sono andate intensificandosi negli ultimi anni  a causa del progressivo innalzamento dell’età dei bambini adottabili, delle difficili esperienze di vita personali e delle problematiche di salute che li caratterizzano. Si tratta allora di avviare progetti di lavoro, mirati e flessibili, che abbiano quale finalità quella di accompagnare le coppie in un percorso di approfondimento e conoscenza relativo alle motivazioni, aspettative, sentimenti, che caratterizzano il progetto adottivo; e alla conoscenza delle peculiarità dei bambini adottati, delle loro storie e dei loro bisogni.

L’adozione è un complesso e articolato processo, un legame che si sviluppa nel tempo e nelle generazioni e il cui esito dovrebbe sfociare, nei genitori, nell’assunzione e “legittimazione” alla genitorialità adottiva, nel figlio nella possibilità di fare esperienza di una relazione che promuova il suo sviluppo e, conseguentemente, nella strutturazione di una famiglia.

Ma anche questo si è già detto. Allora la domanda è: A chi spettano le relazioni del post-adozione?

Ebbene, questo uno degli interrogativi più frequenti e anche di più difficile soluzione. Secondo gli Enti è un compito degli operatori dei Servizi, anche per la maggiore conoscenza che questi hanno del territorio, delle scuole ecc.; secondo i Servizi, è invece compito degli Enti, per la loro maggiore competenza nei rapporti con i Paesi stranieri. È certamente necessario favorire una maggiore possibilità di integrazione e collaborazione tra Enti Autorizzati e Servizi Pubblici e per essere vicini alle famiglie che abitano in quel territorio.

La questione non è di poco conto. Il rischio maggiore per le famiglie adottive è, infatti, quello di vivere nella solitudine dopo l’adozione, solitudine dovuta alla mancanza di una riflessione forte e continuativa sul significato post adozione a fronte di una situazione di genitorialità-filiazione che diventa anno dopo anno sempre più complessa.

Serve, allora una chiara e decisa ridefinizione della complessità del fenomeno.

A onor del vero,va detto che in molte realtà si sono formate associazioni familiari che mettono in pratica interventi a sostegno di queste famiglie. Si sta pian piano sviluppando l’idea che il post adozione passi soprattutto attraverso la creazione di gruppi di mutuo aiuto che si incontrano in modo regolare per un arco di tempo congruo, gruppi che non mescolino chi ha già adottato con chi deve ancora adottare. Questo agevola la condivisione di esperienze differenti e complesse, la restituzione di significati, il poter leggere per tempo le situazioni critiche e la creazione di una rete di sostegno per combattere l’isolamento del nucleo familiare. Occorrerebbe, perciò fare in modo che i servizi territoriali che si occupano di famiglie adottive siano sostenuti e rafforzati.

Occorrerebbe, altresì, valorizzare e potenziare i Consultori familiari. Si ritiene che questi possano diventare un nodo fondamentale della rete di sostegno per la famiglie adottive quando serve assistenza oltre le prime fasi. Possono anche essere luoghi di prima informazione e di contatto nei momenti critici del post adozione. Tale impostazione va nella direzione dell’agevolare la creazione di veri e propri Centri per la famiglia in collegamento coi servizi e con le associazioni familiari. Coinvolgere in questo progetto anche le Scuole, al fine di rendere una più capillare informazione.

Naturalmente tutte le criticità del sistema – adozione non si esauriscono qui.

L’assenza di Protocolli e le difficoltà di rapporto tra Servizi ed Enti Autorizzati, la mancanza di una definizione di un sistema di aiuti e agevolazioni fiscali per le famiglie e molto altro ancora ne sono una prova evidente.

Il problema dei “costi” ad esempio è un problema sempre attuale, forse la causa più manifesta della sfiducia per le coppie di aspiranti genitori adottivi.

Sarebbe auspicabile la possibilità per queste famiglie di avvalersi di ogni possibile agevolazione fiscale per quel che riguarda le spese sostenute per poter accedere a servizi di pre e post adozione nei primi tre anni per il sostegno e la formazione della famiglia adottiva. Del pari, andrebbero anche riconosciute tutte le agevolazioni che riguardano la presa in carico delle criticità al momento dell’ingresso in famiglia dei bambini. Infatti sempre più spesso le famiglie affrontano l’esigenza di logopedia, psicomotricità, terapia per bambini duramente provati, rivolgendosi a strutture private molto “costose”. Ma serve soprattutto, una revisione e razionalizzazione dei costi per le pratiche in Italia e all’estero proposti dagli Enti autorizzati.

Sostenere le famiglie adottive è un impegno fondamentale dello Stato per non chiudere gli occhi davanti al disagio che tante coppie vivono. Lo Stato Italiano dovrebbe consapevolmente e responsabilmente rispondere a queste esigenze, mettendo a disposizione le risorse necessarie per sanare questa nebulosità del sistema, collaborando altresì, con tutti i Tribunali e le comunità per arrivare ad un’immagine chiara del reale e mirare ai giusti interventi.

Se per la coppia l’adozione è un gesto di affetto e desiderio, per lo Stato si tratta di uno strumento a tutela del minore e per questo deve tutelare la coppia che ne è concreto strumento di attuazione.

A tal proposito, si è fatta strada la possibilità di creare dei centri di monitoraggio che possano raccogliere tutti i dati quantitativi riguardanti le adozioni nazionali in Italia, diventare centro di riferimento per l’analisi qualitativa di tali dati e punto di riferimento per la progettazione di prassi più omogenee sul territorio Italiano.

Un impegno mirato in questo senso, va assunto anche da parte delle Ambasciate Italiane e degli uffici consolari Italiani all’estero, i quali debbono diventare ancor di più luogo di sostegno informato per i cittadini italiani che adottano all’estero. Ogni Ambasciata e Ufficio Consolare dovrebbe avere al proprio interno un referente che si occupi di adozione, formato sulle criticità delle pratiche ma anche sul tema stesso. È altresì necessario che le famiglie, una volta rientrate dai viaggi di adozione internazionale, possano raccontare direttamente gli aspetti positivi e negativi della propria esperienza, in modo da permettere agli organi competenti una più rapida ed efficace comunicazione sugli aspetti critici dei viaggi adottivi.

In tale ottica, non deve mai essere perso di vista il perno fondante di tutto il sistema:  è l’interesse superiore del bambino che deve animare e costituire il punto di partenza per ogni iniziativa legislativa e non, in vista di interventi specifici e mirati in materia.

Semplificazione dell’intera disciplina delle adozioni, è quello che appare quest’oggi quanto mai necessario per assicurare i diritti dei minori ad una famiglia in tempi brevi, ma  senza rinunziare alle garanzie; rafforzando  la rete con la magistratura minorile, allo scopo di dare risposte omogenee alle criticità che si presentano; rafforzando  la rete con gli  enti autorizzati, ascoltando le problematiche che incontrano e verificando le loro proposte, anche al fine di  razionalizzare le procedure e assicurare agli stessi, che  devono operare  nel rispetto più assoluto delle regole quali soggetti “incaricati di un pubblico servizio”.

Occorrerà altresì intervenire a controllare competenze, modalità operative  e requisiti degli Enti autorizzati, rafforzando, se possibile la rete di comunicazione con le Regioni, ed enti locali e servizi sociali territoriali per verificare come aumentare la loro efficacia, tanto nella fase preparatoria all’adozione quanto in quella successiva; e altresì creare una proficua interazione con la rete delle associazioni dei genitori adottivi, riflettendo – sulla base della loro esperienza diretta – sugli interventi e iniziative in favore delle coppie che intendono adottare.

Quello che sicuramente è auspicabile è che si crei una sinergia tra le varie istituzioni, enti e associazioni che si occupano minori adottati fino ad arrivare alle famiglie.

Conclusioni

Si era già detto all’inizio che il dato statistico/numerico del crollo o crisi (come qualcuno la definisce) delle adozioni è un dato incontrovertibile e indiscusso e che, come tale non suscettibile di diversa e ulteriore interpretazione. Si lanciava, ciononostante, una sfida ad individuare le cause e le motivazioni più profonde.

Orbene, arrivati a questo punto, sento di poter concludere in questi termini.

Il fenomeno dell’adozione internazionale non può e non merita di essere giudicato superficialmente, limitandosi ad osservare il solo dato numerico e quantitativo. Preme mettere in evidenza che una lettura che pone l’attenzione solamente su di esso rischia di falsare l’analisi del fenomeno, poiché tralascia gravosamente l’attenzione sulla qualità del sistema.

È allora assolutamente necessario, fare un passo indietro e concentrarsi, sulla complessità del fenomeno facendo spazio a valutazioni per lo più di carattere qualitativo.

In quest’ottica ci si accorgerà immediatamente che il sistema di accoglienza adottiva italiano, seppure con tutte le storture e problematicità procedurali di cui si è già accennato, nel complesso – con ciò si fa riferimento sia alla disponibilità e alle capacità delle coppie adottive, sia al sistema istituzionale posto a governo dell’intera procedura – risponde nella maniera più idonea ai reali e più profondi bisogni dell’infanzia abbandonata secondo gli standard internazionali.

Appare pertanto, azzardato e quanto mai errato parlare di “crisi delle adozioni”, poiché il criterio guida attraverso cui valutare il fenomeno deve essere quello qualitativo della tutela del superiore interesse del minore e della garanzia che ai minori adottati, venga assicurata una accoglienza familiare idonea, in aderenza con la Convenzione dell’Aja, ratificata dall’Italia con la legge 31 dicembre 1998 n. 476

La verità è che il malessere maggiore e più profondo che il sistema dell’adozione internazionale sta in questo momento vivendo è soprattutto legato alla situazione estera, dove la Commissione Adozione Internazionale, è poco presente e poco attiva. È all’estero, che ancora si registrano le difficoltà di rapporto con le nostre Ambasciate e i nostri Consolati, talvolta all’origine delle difficoltà per la coppia quando va a apprendere il proprio figlio. All’estro, ad esempio, esiste ancora la possibilità di abbinamento sul posto: alla coppia che si presenta viene presentato un bambino, con la sua storia, la sua origine, da parte di uno psicologo o di un operatore sociale, che si vede per la prima volta e che magari neanche parla la stessa lingua. Eppure è proprio in questo momento che si decide il destino di quel  minore e con esso di altre due persone, i futuri genitori.

È inutile dire che, posta in questi termini, la situazione è pressoché preoccupante  perché non sono assicurate in questo modo le garanzie minime di partenza.

Questo, ad esempio, è uno dei punti che andrebbe approfondito, da parte delle istituzioni nazionali e internazionali. I numeri, per ora, possono anche passare in secondo piano, in quanto per misurare la qualità di un sistema non si ha bisogno di dati, o meglio, essi rappresentano soltanto il superficiale riflesso di una realtà molto più complessa e profonda.

Avv. Sabrina Caporale

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