La Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale di Rieti del 21 maggio 2020, che aveva affermato la responsabilità penale del direttore dei lavori, del preposto e del RSPP.
Ai tre era stato contestato il decesso del dipendente che, mentre realizzava i lavori di sezionamento di un blocco di travertino ad una altezza di tre metri circa dal suolo, in assenza di idonei sistemi di protezione contro le cadute dall’alto, essendo sprovvisto del relativo elmetto di protezione, cadeva a terra riportando gravissime lesioni. L’uomo presentava un eclatante quadro traumatico fratturativo interessante le strutture ossee meningo midollari del tratto cervicale alto con polo d’urto posto a livello del vertice del capo, con presenza di ferita lacera del cuoio capelluto, in conseguenza delle quali decedeva.
I fatti
Il 26 marzo 2013, intorno alle 16, il lavoratore veniva trovato riverso a testa in giù nella fenditura di un masso sul quale stava lavorando presso la cava e, tentati inutilmente i soccorsi, alle 16.47, ne veniva constatato il decesso.
L’infortunio, secondo la ricostruzione dei giudici del merito, si era verificato mentre l’operaio si trovava nell’area di coltivazione della cava nella quale era rinvenuta anche una pala meccanica, sopra un masso, che stava provvedendo a sezionare, con ciò intendendosi la fase di lavorazione precedente quella di riquadratura.
La Consulenza Tecnica sulla sicurezza
Il Consulente tecnico indicava alcuni possibili sistemi di protezione adottabili, fra le quali, a titolo esemplificativo: la possibilità di creare un ancoraggio nella superficie superiore del masso a cui collegare una fune di sicurezza un cordino o meglio ancora un dispositivo retrattile, a sua volta collegato alla cintura di sicurezza o all’imbracatura dell’operatore. Il CTU non mancava di specificare che per ciascuna soluzione sarebbe stato necessario un approfondimento ed un progetto specifico, perché si trattava di attrezzature da progettare nello specifico della lavorazione.
Tuttavia, nessuna di queste misure risultava contemplata nel DSS e tantomeno adottata in concreto. Questo nonostante fosse previsto il rischio di caduta generico e senza dubbio aumentato dall’improvvisa spaccatura del masso, come con ogni verosimiglianza si era verificato nella specie.
I giudizi di merito
Tribunale e Corte d’Appello hanno quindi ritenuto dimostrato che l’infortunio mortale si era verificato durante l’ordinario ciclo lavorativo da parte di un operaio abitualmente addetto a tali lavorazioni, senza però che fossero stati previsti e fossero stati comunque forniti in uso dispositivi di protezione atti a prevenire il rischio di caduta dell’operatore posizionato sopra il masso.
La caduta, da qualunque ragione indotta, ed ancor più ove cagionata dal sezionamento del masso, obbiettivo dell’operazione, era intervenuta da un’altezza di 3 m, condizione ordinaria di lavoro. Si trattava dunque di situazione che, unita alla mancanza del casco (presente in loco ma non indossato), è stata ritenuta integrare la violazione delle norme antinfortunistiche previste dall’articolo 18, comma 1, lett. d) ed f), 28, comma 2, lett. d) del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, interpretate secondo criteri sistematicamente univoci, improntati a costruire, su tutti coloro che partecipano alla catena di comando, un obbligo giuridico di garantire l’incolumità sul posto di lavoro.
Il vaglio della Suprema Corte
La Suprema Corte accoglie esclusivamente le doglianze del direttore della cava, rigettando il resto (Cassazione penale, sez. IV, dep. 28/05/2024, n.20810).
Il direttore della cava è stato ritenuto titolare di posizione di garanzia, quantomeno come preposto di fatto, per il ruolo decisionale svolto all’interno della stessa. I Giudici di appello hanno ritenuto che il direttore avesse piena consapevolezza della presenza del masso e della determinazione di suddividerlo per spostarlo, come pure del fatto che si trattasse di attività a rischio di cadute, presa in considerazione, sia pure genericamente, dal documento di sicurezza e salute (DSS) di cui la società era dotata.
Dunque, in modo consequenziale, esso direttore era tenuto ad osservare non solo le generiche regole di diligenza, ma anche quelle specifiche di settore. Infatti, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio consolidato secondo il quale, in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo di tutela imposto dalla Legge, sicché l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile a ogni singolo obbligato.
La posizione del direttore della cava
Il direttore della cava, secondo l’accertamento del Tribunale, fu coinvolto nella decisione di sezionare il masso, senza però accertarsi di prevedere che qualcuno lo sostituisse nella sorveglianza del lavoro, ivi compreso l’accertamento sull’utilizzo dei dispositivi e sistemi di protezione, ed andandosene quindi in ferie.
Tale disciplina organizzativa non viene idoneamente motivata dai Giudici di Appello che non ricostruiscono adeguatamente, né per quanto attiene alla disciplina di settore (artt. 24 e 25, secondo comma, d.P.R. n. 128 del 1959), né tantomeno nel concreto svolgersi del fatto, l’aspetto relativo all’incidenza della condotta del direttore della cava al momento in cui si verificò l’incidente.
Tale lacuna ricostruttiva si riflette sulla tenuta logica dell’affermazione di responsabilità di dello stesso e comporta l’annullamento, nei suoi confronti, della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa Sezione, perché effettui nuovo giudizio sulla responsabilità penale.
Avv. Emanuela Foligno