Le somme percepite dall’INAIL per l’infortunio costituiscono reddito e la rilevanza penale dell’omissione sussiste solo se c’è il dolo (Cassazione penale, sez. IV, dep. 08/11/2021, n.39975).

Le somme percepite dall’Inail costituiscono, oppure no, reddito?

L’interessato veniva ritenuto responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, per avere falsamente attestato le proprie condizioni di reddito nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non indicando le somme percepite dall’INAIL a titolo di infortunio sul lavoro.

Formula un unico motivo di impugnazione con cui fa valere il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo. Rileva che le somme percepite dall’INAIL a titolo di risarcimento dell’infortunio in itinere non costituiscono reddito, tanto che per affermare l’obbligatorietà della sua indicazione nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato era stato necessario escutere, in giudizio, un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, il quale nondimeno, non aveva saputo indicarne con certezza la natura fiscale.

Sottolinea, inoltre, che per compilare l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio si era rivolto ad un patronato, proprio in considerazione della farraginosità della legislazione fiscale, e che ciò vale ad escludere la sussistenza del dolo, stante la natura pacificamente non reddituale delle somme percepite dall’INAIL.

La Cassazione accoglie il ricorso.

Il ricorrente, si è rivolto ad un patronato al fine di compilare l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che vi ha provveduto non indicando nella richiesta le somme percepite dall’Inail, nell’anno di competenza (2012) a titolo di indennità per infortunio sul lavoro, pari a complessivi Euro 14.000,00.

La Corte territoriale afferma che la rendita INAIL, seppure esente da tassazione IRPEF, rileva ai fini del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 5, svolgendo la funzione di surrogare un reddito da lavoro cessato che ne costituisce il titolo, risolvendosi, pertanto, in una fonte di sostentamento e di introito per chi la percepisce.

Sulla scorta di tale ragionamento, ritenuta la materialità del fatto, ha reputato la sussistenza del dolo generico richiesto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 sulla base del contenuto dell’istanza, tenuto conto del chiaro tenore letterale dell’art. 78 del citato decreto.

Secondo l’orientamento giurisprudenzale “le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico rigorosamente provato che esclude la responsabilità per un difetto di controllo da considerarsi condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale”.

La Corte territoriale nell’affermare la sussistenza del dolo in capo al ricorrente non tiene in alcuna considerazione, da un lato, la complessità della normativa che regola la natura delle provvidenze non indicate quale reddito nella dichiarazione allegata all’istanza, dall’altro, che l’interessato, proprio per non incorrere in errore si è rivolto ad un’associazione di natura sindacale (patronato), avente fra gli scopi l’ausilio ai cittadini nella compilazione delle richieste rivolte alla pubblica amministrazione ed all’autorità giurisdizionale, che implichino la conoscenza di specifiche normative settoriali e della loro lettura giurisprudenziale, pur essendo pacifico che l’imputato avesse fornito tutta la documentazione necessaria ai fini della corretta compilazione dell’istanza.

Ebbene, nel caso di specie, la sentenza si limita ad affermare la sussistenza del dolo generico richiesto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, automaticamente ricavandolo sulla base della semplice omissione, nella dichiarazione allegata all’istanza di patrocinio a spese dello Stato, delle somme percepite dall’INAIL, benché essa sia dipesa dall’interpretazione dell’ente cui l’imputato si era rivolto, proprio ai fini di compilare correttamente la richiesta.

La circostanza che l’interessato si sia rivolto al Patronato, vale ad escludere l’elemento soggettivo, anche nella sua forma eventuale, non essendo ipotizzabile l’accettazione volontaria del rischio che le conseguenze della sua condotta -consistita nell’affidarsi al patronato, al fine di redigere l’istanza, fornendo completa documentazione- potessero configurare un illecito penale.

La sentenza impugnata viene annullata senza rinvio perché il fatto il fatto non costituisce reato.

La redazione giuridica

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