Lesione del pericardio e dell’arteria polmonare (Cassazione penale, sez. IV, dep. 20/03/2023, n.11519).

Condanna di omicidio colposo al Medico per lesione del pericardio e dell’arteria polmonare.

La Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado che condannava il Medico per il reato di omicidio colposo in quanto ritenuto responsabile della morte della paziente.

Il decesso veniva causato da una lesione del pericardio e dell’arteria polmonare sinistra originatasi nell’esecuzione di un drenaggio toracico urgente a seguito della quale una ingente quantità di sangue si riversava nel cavo pericardico provocando un quadro di tamponamento cardiaco che condusse a morte il paziente.

Dalle decisioni di merito emerge che la paziente, affetta da tetraparesi spastica derivante da una risalente lesione cervicale, obesa, ipertesa e con un solo rene, era soggetta a ricorrenti episodi di broncopneumopatia e si recava al pronto soccorso per una seria difficoltà respiratoria. La radiografia del torace evidenziava “totale opacamento del campo polmonare di sinistra” e il Chirurgo imputato., veniva chiamato a consulto dai colleghi del Pronto Soccorso, decideva, in accordo con costoro, di procedere al posizionamento di un drenaggio toracico.

A carico del Chirurgo venivano individuati:

-omessa esecuzione di ulteriori accertamenti diagnostici (una ecotomografia o una ecografia pleurica) che avrebbero consentito di stabilire la reale entità del versamento pleurico, non verificabile con certezza attraverso gli accertamenti radiologici eseguiti presso il Pronto Soccorso, e di valutare se il drenaggio fosse realmente necessario;

-imperizia e imprudenza nell’avere eseguito l’intervento senza utilizzare una guida ultrasonografica; di non avere eseguito, prima del drenaggio, una toracentesi diagnostica; di  procedere alla dissezione per via smussa delle strutture anatomiche della parete toracica e alla palpazione digitale del cavo pleurico; di retrarre il mandrino appuntito del drenaggio immediatamente dopo l’ingresso in cavo pleurico.

In sintesi, i Giudici di merito hanno ritenuto accertata una condotta omissiva colposa sottolineando che un maggior approfondimento diagnostico avrebbe potuto evidenziare che il posizionamento del drenaggio non era necessario o, comunque, consentire di meglio valutare la peculiare condizione del paziente, il cui emitorace sinistro aveva un volume ridotto a causa delle pregresse fratture vertebrali (ciò che comportava anche una anomala dislocazione dei grandi vasi). Hanno ritenuto sussistente, inoltre, una condotta colposa commissiva consistita nell’aver materialmente eseguito l’intervento in difformità dalle leges artis e nell’aver posizionato il drenaggio senza retrarre immediatamente il mandrino appuntito. Fu proprio questa punta che, secondo le sentenze di merito, determinava la lesione del pericardio e dell’arteria.

Il Chirurgo propone ricorso contro la decisione di appello: deduce con i primi due motivi violazione della Legge Balduzzi  per essere stata ritenuta colpa grave in conseguenza del mancato rispetto delle linee guida e per mancato trasferimento del paziente in altra Struttura attrezzata. Sul punto l’imputato sostiene che la paziente non era trasferibile neppure all’interno dello stesso ospedale, e a maggior ragione, in altra Struttura diversa.

Le censure non superano il vaglio di ammissibilità.

Sulla concreta inesigibilità di un comportamento conforme alle linee guida per indisponibilità delle apparecchiature necessarie, e quindi, alla mancata esecuzione di un’ecotomografia o di una ecografia pleurica e al  mancato utilizzo di una guida ultrasonografica nell’inserimento del tubo di drenaggio, l’imputato sostiene che la Corte di appello sarebbe incorsa in un travisamento della prova avendo affermato che “quando il paziente giunse al pronto soccorso, le sue condizioni non erano di assoluta gravità e furono comunque stabilizzate, prima presso quel reparto, poi presso la U.O. di Anestesia e Rianimazione (dove  fu assistito con ventilazione e raggiunse parametri clinici di stabilità), sicché nulla impediva di trasferirlo presso altra struttura specializzata”.

Si tratta, in sostanza, sempre secondo la tesi dell’imputato, di vizio di travisamento della prova e/o omessa valutazione di una prova decisiva.

Ebbene, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati, è ravvisabile ed efficace “solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato”.

Dalla sentenza di primo grado risulta, infatti che nell’ospedale era presente nell’intero arco delle ventiquattr’ore “una figura professionale in grado di eseguire ecografia e Tac“. La relazione predisposta dal collegio peritale riferisce che l’ecotomografia può essere eseguita al letto del paziente ed è un esame “semplice, rapido e non invasivo che avrebbe potuto confermare e quantificare la presenza di un versamento pleurico“. A questo proposito il giudice di primo grado ha anche sottolineato che l’ecografia avrebbe consentito di meglio comprendere la particolare anatomia endotoracica del paziente, già intuibile sulla base dell’accertamento radiografico e, pertanto, sarebbe stata utile anche “ai fini della collocazione in sicurezza del drenaggio”.

Come risulta dall’estratto della relazione peritale, i Consulenti hanno affermato che l’ecografia diagnostica poteva e doveva essere richiesta dall’operatore “per verificare l’entità del versamento pleurico (ed eventualmente contrassegnare il punto per l’inserzione del drenaggio, raccomandazione C del BTS)” (dove BTS sta per “Linee guida della British Thoracics Society”). Difatti, il Giudice di primo grado ha individuato quale condotta omissiva causalmente rilevante (e connotata da negligenza e imprudenza) non la mancata effettuazione del drenaggio sotto guida ultrasonografica, bensì la mancata esecuzione di una ecografia a fini diagnostici.

Ne deriva che il travisamento della prova dedotto dal ricorrente non intacca il ragionamento probatorio dei Giudici di merito.

Ciò posto, la Suprema Corte rileva che le decisioni di merito attribuiscono il decesso del paziente, oltre che a condotte omissive (proprie della fase diagnostica precedente all’intervento) anche a una condotta commissiva, consistita nell’esecuzione del drenaggio senza rispettare le comuni procedure di sicurezza raccomandate per questo tipo di intervento.

Per quanto concerne l’asserita imprevedibilità e inevitabilità dell’evento, che sarebbe dipeso dalle particolari “condizioni anatomiche” del paziente, la Corte sottolinea che questi, tetraplegico e obeso, aveva difficoltà di corretto decubito e che tra i profili di colpa ritenuti sussistenti vi è anche quello di non aver disposto una ecografia diagnostica che avrebbe consentito di meglio comprendere la particolare anatomia endotoracica del paziente.

Conclusivamente, i Giudici di merito hanno ampiamente e correttamente argomentato che l’imputato non si uniformava  alle linee guida o buone tecniche assistenziali, ma – sia nella decisione di eseguire un drenaggio toracico senza previo approfondimento diagnostico, sia nella concreta esecuzione dell’intervento, violava alcune regole cautelari riconosciute dalla comunità scientifica. Proprio perché vi fu un significativo discostamento rispetto all’agire appropriato, la colpa del Chirurgo non può definirsi lieve.

Il ricorso viene dichiarato inammissibile con condanna in favore della Cassa delle ammende.

Avv. Emanuela Foligno

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