L’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell’alea normale ricadono sugli stessi (Cass. Civ., Sez. VI-3, Ordinanza n. 35602 del 19/11/2021)

Il danneggiato aziona la domanda giudiziale onde ottenere il ristoro per la frattura del setto nasale durante la prova di esame di arti marziali da parte del proprio antagonista.

Entrambi i Giudici di merito ritenevano che “nel caso di attività sportiva, chi vi partecipa accetta il rischio dei danni che possono derivare durante quella specifica pratica”.

L’uomo ricorre in Cassazione deducendo la violazione dell’art. 2043 c.c. sostenendo che “la regola applicata dal giudice di merito vale per gli incontri agonistici o per l’attività sportiva in senso stretto, mentre nel caso di specie l’incidente si era verificato durante un esame per il conseguimento di un livello superiore ed il ricorrente era stato chiamato a fare da sagoma umana, all’interno di un combattimento simulato, non essendoci stata, quindi, una vera attività sportiva”.

Gli Ermellini evidenziano che l’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell’alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi.

Ed è “escluso dalla regola dell’accettazione del rischio il fatto doloso o dovuto a colpa particolarmente grave” (Cass. n. 12012/2002).

In sostanza, l’uomo ha subito danni alla persona (lesioni al setto nasale, precisamente) durante la prova di esame di arti marziali, presso la palestra che egli frequentava per praticare lo sport “Ju Jitsu”.

L’altro atleta convenuto in giudizio, doveva quel giorno sottoporsi ad un esame per conseguire la cintura nera, per svolgere il quale era necessario che qualcuno facesse da antagonista, e per tale compito venne chiesto al danneggiato, insieme ad altri due, di prestarsi allo scopo.

Durante la prova l’esaminando ha colpito al naso il danneggiato e gli ha procurato la deviazione del setto.

Nei giudizi di merito la ratio decidendi è stata di ritenere che, nel caso di attività sportiva, chi vi partecipa accetta il rischio dei danni che possono derivare durante quella specifica pratica.

In Cassazione, pertanto, viene lamentata la violazione dell’art. 2043 c.c., ed omesso esame di un fatto decisivo.

La tesi del ricorrente è che la regola applicata dal Giudice di merito vale per gli incontri agonistici o per l’attività sportiva in senso stretto, mentre in questo caso, fatto la cui considerazione sarebbe stata omessa, l’incidente si era verificato durante un esame per il conseguimento di un livello superiore, ed il ricorrente era stato chiamato a fare da “sagoma umana”, all’interno di un combattimento simulato.

Sempre secondo il ricorrente non vi è stata una vera e propria attività sportiva, e quindi è da escludersi dalla applicazione della regola che pone l’accettazione del rischio come criterio di esclusione del risarcimento.

Il motivo è infondato.

È giurisprudenza risalente che “l’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell’alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi” .

Valgono tuttavia delle distinzioni: a) il danno è causato pur nel rispetto delle regole del gioco, caso nel quale più che far valere l’attività sportiva in sé come scriminante, vale osservare che il danno si connota in termini di imprevedibilità in ragione dello scopo della norma violata: le regole del gioco infatti possono essere a presidio del gioco stesso, come a presidio della incolumità dell’avversario (in alcuni sport di contatto, il divieto di colpi bassi). In questi casi se lo sportivo procura danno, pur nel rispetto della regola di gioco, il danno può non porsi a carico del danneggiante per difetto di colpa; b) il danno è causato colpevolmente in violazione delle regole del gioco, e segnatamente di quelle che mirano a tutelare l’incolumità altrui. In questo caso non si tratta di una scriminante, nè tipica (consenso dell’avente diritto), nè atipica, che altrimenti, l’attività sportiva sarebbe da considerare come illecita, ed invece è attività consentita e socialmente utile.

Ciò posto, si tratta di valutare la rilevanza della colpa. Da questo punto di vista non è sufficiente dire che lo sportivo accetta il rischio e dunque non può pretendere il risarcimento di alcun danno che derivi dall’attività sportiva: ad esempio, il rischio di condotte dolose dell’avversario. L’atleta accetta il rischio normalmente connesso a quel tipo di sport, non ogni rischio derivante dalla condotta altrui, anche dolosa.

È dunque giustamente escluso dalla regola dell’accettazione del rischio il fatto doloso o dovuto a colpa particolarmente grave (Cass. n. 12012 del 2002).

Determinante ai fini della responsabilità è la individuazione della norma violata e dello scopo di essa, ai fini della valutazione della colpa. Nell’accertamento della colpa, potrà rilevare la qualità dell’atleta, nel senso che altro è lo sportivo professionista, da cui è richiesta maggiore attenzione, altro il dilettante in quanto quest’ultimo non ha le capacità tecniche di chi invece esercita l’attività sportiva su basi professionali e che meglio sa conformare la propria condotta alle regole del gioco.

La regola vale ovviamente sia che l’attività sportiva venga svolta in forma agonistica, sia che si tratti di un allenamento o di un esame sportivo: non v’è motivo di distinguere a seconda della occasione e delle finalità per cui l’attività sportiva è svolta, mentre una distinzione rilevante può farsi rispetto ai dilettanti, proprio perché la risarcibilità del danno, come si è detto, dipende dal tipo di difformità del comportamento rispetto alla regola cautelare.

Pertanto, il motivo basato sulla distinzione tra attività sportiva vera e propria e prova di esame, non può essere accolto, in quanto le regole dell’una sono identiche per l’altra, la distinzione essendo di mera finalità del medesimo sport, ossia della medesima condotta, finalità, non incide sulla valutazione della colpa rispetto allo scopo della regola violata.

Per tali ragioni il ricorso viene rigettato con addebito delle spese di giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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