La Corte di Cassazione fa chiarezza in merito ai litigi col collega di lavoro e alla possibilità di un eventuale trasferimento in relazione a tale circostanza

Con l’ordinanza n. 27226/2018 sezione lavoro, la Cassazione ha fatto il punto in merito alla legittimità trasferimento del dipendente dovuta ai continui litigi col collega d’ufficio.

Per gli Ermellini, infatti, è lecito trasferire il dipendente in questi casi, poiché il conflitto crea disfunzione dell’unità produttiva.

La vicenda

Nel caso di specie, un dipendente di una S.p.A. ha fatto ricorso in Tribunale per chiedere che si accertasse l’illegittimità del trasferimento disposto dal datore di lavoro nei suoi confronti. L’uomo aveva frequenti litigi col collega di lavoro che avevano causato il licenziamento.

Tra le richieste, vi era anche quella di dichiarare illegittima l’intervenuta dequalificazione professionale presso la sede ad quem, il riconoscimento dei danni patrimoniale, biologico ed esistenziale e il rimborso delle spese mediche sostenute. Così come ha richiesto il pagamento del premio aziendale degli anni 2006 e 2007.

Il Tribunale ha deciso di accogliere la domanda, dichiarando illegittimo il trasferimento e condannando la società al rimborso delle spese mediche e al risarcimento del danno patrimoniale.

Una decisione che però è stata riformata in sede d’Appello.

Infatti, il trasferimento è stato determinato dalla necessità di risolvere il conflitto interno all’ufficio ed evitare che la degenerazione del rapporto personale tra il ricorrente e una collega, per questioni estranee all’ambito lavorativo, potesse compromettere il lavoro stesso.Il dipendente ha fatto quindi ricorso in Cassazione contestando la sentenza d’appello.

A suo avviso, infatti, il trasferimento:

  • nascondeva una finalità sanzionatoria e disciplinare;
  • era stato disposto in violazione dei principi di buona fede e correttezza;
  • aveva comportato un demansionamento ingiustificato;
  • era avvenuto in assenza di ragioni valide e fondanti e senza una valutazione equilibrata degli interessi in gioco;
  • non aveva rispettato il divieto di discriminazione;
  • non aveva tenuto conto delle sue condizioni personali e familiari.

La Corte di Cassazione ha però precisato che il controllo giurisdizionale sulle ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve limitarsi ad accertare solo se c’è corrispondenza tra il provvedimento del datore e le finalità dell’impresa.

Non solo.
Gli Ermellini rammentano che per quanto riguarda l’analisi della decisione della Corte d’Appello, il giudice di secondo grado ha valutato correttamente la scelta del trasferimento, tenendo conto delle possibili conseguenze dei litigi del ricorrente con la collega.

I due si sarebbe infatti anche reciprocamente denunciati e, lavorando nello stesso ufficio, la cosa avrebbe creato molti problemi anche di natura organizzativa.

Ipotesi, questa, non contemplabile nel caso di specie, considerate le piccoli dimensioni della struttura in cui operavano.

In conclusione, la decisione del giudice di secondo grado ha ritenuto legittimo il trasferimento.

E questo poiché ha compreso che la finalità del provvedimento era di evitare che il rapporto tra colleghi degenerasse a danno dell’ambiente di lavoro.

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