Malattia professionale e prescrizione (Cassazione civile, sez. VI, 02/03/2023, n.6341).

Malattia professionale e prescrizione dell’azione per il conseguimento della rendita ai superstiti.

La Corte d’appello di Palermo ha confermato la pronuncia di primo grado che rigettava, per intervenuta prescrizione, la domanda della vedova volta a conseguire la rendita quale coniuge superstite del lavoratore, deceduto per malattia professionale contratta a seguito di esposizione ad amianto.

I Giudici di secondo grado hanno attribuito e dato rilievo a due atti: la domanda amministrativa del 2005 e il provvedimento di rigetto dell’INAIL del 2006. In base all’interpretazione congiunta di entrambi i documenti, la Corte di merito conclude che con detta domanda il coniuge superstite avesse richiesto la rendita oggetto di causa. L’esame degli atti consentiva anche l’accertamento della consapevolezza, da parte della vedova, a tale data, del nesso causale tra la malattia professionale del dante causa e la morte, posta a base della statuizione di intervenuta prescrizione dell’azione, proposta con ricorso del 2017.

La donna si rivolge alla Cassazione deducendo errata la considerazione che l’istanza del 2005 fosse diretta ad ottenere la costituzione di una rendita quale familiare superstite del lavoratore deceduto per fatti ricollegabili a una matrice professionale e per avere tratto, in base al medesimo atto, il convincimento di sussistenza della consapevolezza, da parte del congiunto, del nesso di causalità tra la patologia denunciata e la morte del coniuge.

Con la seconda censura viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Le questioni di cui al primo motivo vengono sostanzialmente riproposte in termini di vizio di motivazione.

Osservano gli Ermellini che le censure, sono in realtà dirette ad una rivalutazione degli accertamenti di fatto compiuti dai Giudici di merito di cui la ricorrente intende fornire una diversa lettura e valutazione.

Difatti, l’interpretazione della domanda amministrativa del 17.1.2005 e del provvedimento di rigetto da parte dell’INAIL del 20 febbraio 2006, così come l’accertamento della conseguita consapevolezza, da parte del coniuge superstite, del nesso causale tra la patologia di origine professionale del dante causa e la morte,  costituiscono un apprezzamento che può essere censurabile in Cassazione solo nei ristretti limiti del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 ovvero, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con la specifica denuncia di violazione delle norme di ermeneutica contrattuale.

Inoltre il caso esaminato approda in legittimità dopo una “doppia conforme”.

Conclusivamente viene ribadito che le censure formulate allo scopo di fornire una diversa lettura dei fatti sono inammissibili.

Avv. Emanuela Foligno

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