Manipolazioni psicologiche e danno da gaslighting: configurazione e risarcibilità.

Manipolazioni psicologiche, volte a destabilizzare l’autostima del soggetto costituiscono il cosiddetto gaslighting.

Come purtroppo noto, il rapporto di coppia, e di convivenza dei partner, è spesso accompagnato da vessazioni fisiche, ma anche da manipolazioni psicologiche.

Il danno psicologico, o psichico, è subdolo perché si forma attraverso reiterate manipolazioni psicologiche, sofferenze interiori, angherie, che per la loro ripetitività sembrano al soggetto passivo rientranti “nella quotidianità”. Difatti, il bersaglio delle manipolazioni psicologiche, che ritiene di essere un soggetto del tutto inetto, interpreta tali angherie come normali.

IL comportamento di cui stiamo discorrendo è noto con il termine di Gaslighting”.

Letteralmente: “è una forma di manipolazione psicologica violenta e subdola nella quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione. Può anche essere semplicemente il negare da parte di chi ha commesso qualcosa che gli episodi siano mai accaduti, o potrebbe essere la messa in scena di eventi bizzarri con l’intento di disorientare la vittima.

Tra i primi a parlare di gaslighting in Italia figura la rivista web di psicologia Psicoadvisor che descrive il fenomeno come una «forma di violenza psicologica silenziosa, in cui si sperimenta angoscia, impotenza, frustrazione e si finisce per diventare vittime di un abuso senza accorgersene».

Il gaslighting funziona come un’inversione dei ruoli di vittima e carnefice. L’obiettivo dell’abusante è di sopprimere le reazioni di autodifesa della vittima per sfuggire alle sanzioni che gli spetterebbero, e continuare così a ripetere l’abuso. Concretamente, è un caso speciale di diversione basato su sottili manipolazioni verbali o gestuali (espressioni facciali, intonazioni, atteggiamento, ecc.) in cui l’abusante mette in dubbio ogni scelta, sentimento, emozione, valore, ecc. della vittima.

Per esempio, per degradare l’autostima della vittima, l’abusante può ignorarla completamente, poi riconsiderarla fortemente, poi ignorarla di nuovo, e così via. In questo modo, la vittima abbassa i propri standard relazionali ed emotivi, si percepisce come “indegna”, non è più in grado di fidarsi dei suoi sentimenti di attaccamento e diventa sempre più dipendente dal manipolatore.

Negli anni ‘80, gli psicologi Gass e Nichols usavano il termine gaslighting per descrivere una dinamica osservata fra coniugi in alcuni casi di adulterio: «I terapeuti possono contribuire al disagio del paziente mal interpretando le loro reazioni. […] I comportamenti di gaslighting del coniuge forniscono una ricetta per il così detto crollo psicologico per alcuni pazienti e il suicidio in alcune delle peggior situazioni.»

Negli anni ‘90, Jacobson e Gottman riferivano che alcuni coniugi violenti potrebbero usare il gaslighting sull’altro coniuge, anche negando fermamente di aver mai commesso alcun atto di violenza. Questo comportamento è notato sia nei casi di violenza al coniuge che verso i figli. La vittima finisce per credere alla versione dell’abusante con la forza della ripetizione. Questo rafforza la situazione di plagio.

Ed è proprio per questo che la vittima non si allontana dall’abusante, non perché non è stata abusata “abbastanza” ma perché è stata abusata “così tanto” che anche i suoi meccanismi di autodifesa (fuga, ribellione, chiusura della elazione) sono stati distrutti.

Negli anni 2000, la psicologa Martha Stout sosteneva che i sociopatici usano frequentemente tattiche di gaslighting. I sociopatici trasgrediscono coerentemente leggi e convenzioni sociali, sfruttando gli altri, ma sono anche tipicamente dei bugiardi credibili e convincenti, negando coerentemente ogni misfatto.

La richiesta di aiuto da parte del soggetto che subisce manipolazioni psicologiche tarda ad arrivare perché si crea una quasi totale dipendenza a cui si accompagna un’irrazionale idealizzazione del partner (carnefice).

Questi atteggiamenti creano una sorta di “trappola”, all’interno della quale la vittima vede annullate le proprie emozioni, la razionalità, le percezioni.

Nell’ottica dei danni alla persona le manipolazioni psicologiche, ed anche l’abuso psicologico, rientrano nel novero dei danni non patrimoniali, investendo la sfera personale, relazionale ed emotiva del soggetto passivo.

Si discorre, quindi, di diritti inviolabili della persona secondo l’approccio costituzionalmente orientato dell’art. 2059 c.c.

Non è, come sembrerebbe, una nuova veste del danno esistenziale, bensì un pregiudizio che riguarda tutti quei comportamenti che generano sofferenze per il peggioramento della qualità della vita, alterazioni delle abitudini quotidiane e delle attività realizzatrici della persona.

In un a impeccabile decisione in materia di separazione dei coniugi il Tribunale di Milano (Sez. IX, sentenza n. 4669/2015), ha evidenziato come “in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il Giudice per pronunciare la separazione deve verificare l’esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, la convivenza….é…[..]… l’atto violento è in re ipsa fatto idoneo a determinare o aggravare l’intollerabilità della convivenza, sicché esso consente in definitiva di ritenere provato, ex se, il nesso causale tra la violazione del dovere coniugale di assistenza e solidarietà tra i coniugi”.

Le manipolazioni psicologiche non costituiscono un’autonoma e tipica fattispecie di reato, rientrando nell’ampio concetto di maltrattamenti in famiglia.

Avv. Emanuela Foligno

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