Respinto il ricorso del datore condannato per lesioni colpose gravi nei confronti di un operaio che aveva avuto una mano schiacciata con plurime fratture durante le operazioni di pulizia da residui di lamiera da un macchinario con marchiatura di conformità CE

Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità “CE” o l’affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 41147/2021 pronunciandosi sul ricorso di un datore di lavoro, condannato in sede di merito per il reato di lesioni colpose gravi nei confronti di un operaio dipendente, che aveva avuto una mano schiacciata con plurime fratture, a causa della ripartenza dei rulli, che prima erano in posizione di quiete, del macchinario che stava ripulendo da residui di lamiera. Si trattava, nello specifico, di una macchina, detta “linea di spianatura e taglio trasversale bandellatrice”, in cui la zona lavoro contenente parti mobili in movimento – sia rulli che una cesoia – era protetta da una grata di protezione apribile con un chiavistello ma priva di dispositivo di blocco automatico in grado di arrestare il movimento all’apertura della grata.

I giudici di merito avevano ritenuto violato l’art. 71, comma 4, lett. a), nn. 1 e 2, del d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81, per avere il datore di lavoro messo a disposizione del lavoratore una macchina non sicura, nel senso appena specificato, ritenendo non rilevante la circostanza, segnalata e documentata dalla difesa, che il macchinario avesse il marchio “CE” e che fosse regolarmente in commercio. In particolare, avevano osservato che, essendo stata acquistata nel 2004, cioè dieci anni prima dell’incidente, era obbligo del datore di lavoro, adeguare gli standard di sicurezza nel tempo alla luce dei progressi della tecnologia ed installare dei meccanismi automatici di blocco, richiamando al riguardo il principio, puntualizzato da tempo dalla Suprema Corte, secondo il quale “in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza”.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, violazione di legge (art. 71, comma 4, nn. 1 e 2, del d. Igs. n. 81 del 2008) nella parte in cui la norma che si pretendeva violata non prevede che il datore di lavoro abbia l’obbligo di sostituirsi al costruttore nell’installazione di sicurezze non presenti sin dall’origine in macchine marcate “CE”. La regola cautelare asseritamente violata avrebbe un perimetro assai più ampio rispetto a quello delineato dal legislatore ed estenderebbe l’ambito degli obblighi imposti al datore di lavoro con riferimento alla gestione dei macchinari oltre ogni confine di ragionevolezza e di esigibilità, addebitandogli di non avere installato sul macchinario un sistema di sicurezza che pacificamente non vi era mai stato, nonostante le rassicurazioni presenti sul libretto di uso e di manutenzione, in sostanza richiedendogli di superare la valutazione del costruttore, che aveva immesso in commercio il macchinario. La lettura corretta dell’art. 71, nn. 1 e 2, del d.lgs. n. 81 del 2008 descriverebbe, ad avviso del ricorrente, il compito del datore di lavoro come accessorio ed esecutivo rispetto a quello del costruttore, non già come sostitutivo di esso, dovendo, per dettato di legge, attenersi alle istruzioni d’uso ed al manuale, scritti, appunto, dal costruttore; il riferimento alla “permanenza nel tempo” dei requisiti di sicurezza deve riferirsi necessariamente al mantenimento e/o alla conservazione di quei requisiti che in precedenza erano effettivamente esistenti, non certo a requisiti che in quel momento e dall’origine in verità non esistevano. Disattendendo la lettera della legge, si verrebbe ad imporre al datore di lavoro un obbligo – illegittimo poiché non previsto da alcuna norma – suppletivo e non già meramente esecutivo-integrativo rispetto a quello del costruttore. Del resto, la c.d. “direttiva-macchine” (direttiva 2006/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006) fa carico al costruttore, e non ad altri, l’obbligo di accertare che il prodotto immesso sul mercato presenti i requisiti di sicurezza, attestandolo attraverso apposita marcatura “CE”, mentre l’acquirente è mero beneficiario, essendo persona rinchiusa nella platea di coloro che fanno affidamento sulla marcatura. Inoltre, l’eventuale alterazione della macchina, anche se effettuata per ragioni di sicurezza, farebbe venire meno l’originaria conformità. La descritta suddivisione di sfere di responsabilità corrisponde concretamente – secondo il ricorrente – al principio di dominabilità del rischio, poiché la eventuale mancanza originaria è addebitabile solo al costruttore, non potendo l’acquirente intervenire né avendo le competenze per farlo. Diversamente, ove cioè il costruttore abbia consegnato al datore di lavoro una macchina priva di criticità e tali criticità siano insorte durante l’epoca di governo del rischio del datore di lavoro, questi ne sarà responsabile.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto di non aderire alle doglianze proposte.

Le pur non irragionevoli, censure difensive – hanno sottolineato dal Palazzaccio – anche relative alle indicazioni contenute nel libretto di istruzioni, trascuravano, però, di attribuire il giusto peso alla centrale importanza nel caso in esame del tipo di dispositivo di sicurezza omesso e alla visibilità di un meccanismo di segregazione delle parti mobili e pericolose (rulli di metallo in movimento) della macchina rispetto agli arti dei lavoratori che era affidato ad un chiavistello, agevolmente apribile, dovendosi provvedere con altra manovra su distante meccanismo ad interrompere l’erogazione di corrente, e non già ad un blocco di tipo automatico, che sarebbe stato oggettivamente più sicuro.

Al riguardo, la Cassazione ha richiamato il principio, affermato dalla S.C. in un caso, non identico a quello in esame ma ad esso affine, di mancata adozione di protezione delle parti meccaniche in movimento, parti suscettibili di rivelarsi pericolose in caso di contatto del lavoratore, secondo il quale “in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare tale macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio di progettazione, che non consentano di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza”.

Nel caso in esame le parti in movimento non erano, invece, immediatamente raggiungibili da parte del lavoratore ma risultavano protette in maniera insufficiente cioè da un meccanismo esistente – sì – ma facilmente eludibile, come in effetti accaduto nel caso concreto, solo agendo su un chiavistello, con ogni evidenza agevolmente apribile, rendendosi necessario inoltre lo spegnimento manuale del macchinario con altra manovra, sicché, avuto riguardo alla centralità del valore della tutela della salute del lavoratore, non poteva che valere lo stesso principio appena richiamato.

La redazione giuridica

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