Accolto il ricorso di madre e fratello di un militare che aveva contratto il linfoma di Hodgkin dopo aver prestato servizio in territorio precedentemente bombardati con proiettili all’uranio impoverito

Con la sentenza n. 12963/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato da madre e fratello di un militare che, in proprio e quali eredi di quest’ultimo, avevano agito in giudizio contro il Ministero della Difesa chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza della morte del loro congiunto. Il militare, in base a quanto dedotto in domanda, nel corso servizio militare prestato come volontario in forma breve in Bosnia era stato utilizzato in esperimenti tattici (in particolare, dopo essere stato trasportato in territorio bosniaco e fornito di mappe, aveva avuto il compito di ritornare a piedi alla base dalla quale era partito, oppure quello di perlustrare a piedi i territori sui quali era stato paracadutato); detti territori erano stati in precedenza bombardati con proiettili all’uranio impoverito, sicché l’uomo era stato direttamente esposto alle micro e nanoparticelle di metalli pesanti disperse nell’aria ed alle relative radiazioni, senza che niente al riguardo gli fosse stato comunicato e senza che fossero richieste o fornite precauzioni di sorta. Anche nel periodo trascorso a Codroipo (Udine), ove aveva preso servizio dal 24 maggio 2000 quale militare in forma di leva prolungata, egli si era mosso liberamente senza protezione «anche in vicinanza di depositi».

Il militare, che già in Bosnia aveva accusato uno strano malessere, aveva poi contratto, dopo le dimissioni avvenute nel novembre 2001, la patologia tumorale nota come «linfoma non Hodgkin», ed era poi deceduto, a causa della stessa, in data 24 agosto 2003.

I Giudici del merito avevano rigettato la domanda per insussistenza del nesso causale tra la missione svolta in Bosnia e la dedotta esposizione all’uranio impoverito.

La Corte di appello, in particolare, aveva osservato, tra l’altro, che le testimonianze erano de relato ed anche generiche e non avevano fornito alcun contributo idoneo a dimostrare la sussistenza del predetto nesso causale; così come altrettanto generici erano i riferimenti fatti al periodo trascorso a Codroipo.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, i ricorrenti eccepivano che la Corte territoriale avesse omesso di considerare taluni elementi di giudizio, quali: il fatto che i territori teatro della missione di pace in Bosnia nell’anno 2001 erano stati massicciamente bombardati con munizionamento all’uranio impoverito nonché il fatto che il militare aveva operato sprovvisto di qualsiasi misura di protezione individuale e senza ricevere alcuna informazione circa i possibili pericoli derivanti dall’esposizione, tra l’altro, ad uranio depleto.

Gli Ermellini hanno ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte, accogliendo il ricorso in quanto fondato.

Dall’acquisito fascicolo d’ufficio del giudizio di secondo grado si traeva piena conferma del fatto che nel corso del giudizio di appello gli appellanti avevano documentato la sopravvenienza (nel corso del medesimo giudizio di appello) di provvedimenti del Ministero della Difesa che, sulla scorta di nuove determinazioni in autotutela del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, erano giunti a conclusioni opposte a quelle inizialmente adottate, con i provvedimenti menzionati in sentenza che avevano indotto i giudici a quibus a negare l’esistenza di prova del nesso causale tra l’esposizione ad uranio impoverito e la morte del militare. Si trattava in particolare: a) della delibera (posizione n. 6166/2012) del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, adottata nell’adunanza n. 116/2012 del 20 marzo 2012, espressa in questi testuali termini: «… il Comitato, attentamente rivalutato il caso, osserva che dai rapporti informativi risulta un’attività di servizio svolta in teatro operativo che può inquadrarsi nella previsione normativa delineata dal d.P.R. 243/2006 e dalla nuova legge 9/2011 (ex d.P.R. 37/2009) e, pertanto revoca, in autotutela, le precedenti pronunce negative di cui alle delibere n. 41331/2008 del 28/01/2009, n. 351/2009 del 01/04/2009 [pareri questi citati dalla Corte partenopea a fondamento della propria decisione, n.d.r.], n. 20600/2010 del 01/07/2011 e n. 37067/2011 del 16/11/2011 ed esprime parere di “SI dipendenza” da causa di servizio della patologia “Linfoma non Hodgkin, linfoblastico cellule T, determinante il decesso” ai sensi della sopracitata normativa»; b) del decreto n. 121 in data 7 giugno 2012 (Posizione n. 18371/20″) con cui il Ministero della Difesa, Direzione generale della previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati, I° Reparto, 6″ Divisione, Area – Servizio Speciali Benefici assistenziali, proprio sulla scorta del nuovo parere in autotutela del suddetto comitato ha concesso alla madre del militare deceduto, le provvidenze di cui al d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 [Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma de/I’ articolo 1, comma 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266] e, segnatamente, dell’«assegno vitalizio» mensile non reversibile di C 258,23 e dello «speciale assegno vitalizio» mensile non reversibile di C 1.033,00 e ciò previo espresso annullamento del d.m. n. 4 del 4 giugno 2009 che tali benefici aveva negato; c) del decreto n. 118 in data 27 giugno 2012 (Posizione n. 18371/20″) con cui la medesima P.A., sulla base delle stesse premesse e richiamato il decreto n. 121 del 7 giugno 2012, concede alla madre del defunto soldato la «speciale elargizione» di C 220.221,70 (ex legibus n. 222 e n. 244 del 2007).

“Non può dubitarsi – ha concluso la Cassazione – della rilevanza e potenziale decisività di tali evenienze rispetto all’accertamento del nesso causale tra l’esposizione ad amianto impoverito e la morte del militare (cfr. Cass. n. 31007 del 30/11/2018; n. 24180 del 04/10/2018): accertamento che certamente costituisce tipica questione fattuale, come tale riservata al giudice del merito, ma che nella specie risulta viziato dalla mancata considerazione dei fatti suindicati ed è, pertanto, pertinentemente e fondatamente denunciato in ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

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