Il datore di lavoro non ha fornito la prova liberatoria, ovverosia l’avere adottato ogni cautela in grado di impedire l’evento dannoso e non rileva l’assoluzione in sede penale (Tribunale di Aosta, Sez. lavoro, Sentenza n. 36/2021 del 26 /04/2021)

Il lavoratore cita a giudizio il proprio datore di lavoro al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti nel corso dell’infortunio del 28.11.2014. Nello specifico, sostiene di avere subito lo schiacciamento della mano sinistra a causa di una pesante lastra di pietra di Cogne che si era staccata dalla ventosa di una macchina granigliatrice usata per eseguire una operazione manuale di ‘bocciardatura’.

Si costituisce in giudizio la Società datrice di lavoro deducendo che il sinistro si sarebbe verificato per la condotta gravemente negligente dell’attore, come emerso all’esito dal procedimento penale conclusosi con l’assoluzione del legale rappresentante della società.

La causa viene istruita mediante la richiesta di informazioni all’INAIL in ordine alla rendita riconosciuta al lavoratore, nonché con l’escussione di alcuni testi.

Successivamente viene disposta CTU per verificare la dinamica dell’incidente e, successivamente, una ulteriore CTU medico legale sul ricorrente, in ordine alla valutazione dei postumi permanenti e dell’invalidità totale e temporanea all’esito del sinistro.

All’esito di tutta l’attività istruttoria il ricorso del lavoratore viene considerato fondato.

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, sono rivolte a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso.

Il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo, invece, attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore.

La condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.

In tal senso la giurisprudenza è granitica da oltre un decennio.

Inoltre, per ritenere la sussistenza del carattere di abnormità del comportamento del lavoratore, è necessaria una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza della condotta del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato rispetto a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere.

Ciò posto, quando l’infortunio sul lavoro si verifichi in occasione dell’effettuazione di operazioni usuali di lavorazione di materiale lapideo con l’utilizzo di macchinari aziendali, il lavoratore deve provare esclusivamente la sussistenza del rapporto di lavoro, l’infortunio ed il nesso causale tra utilizzazione del macchinario ed evento, mentre grava sul datore l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le misure atte ad impedire l’evento ex art. 2087 c.c.

Applicando tali principi, innanzitutto viene ritenuta irrilevante la assoluzione del datore di lavoro all’esito del procedimento penale.

Nella CTU si legge:

‘1. l’incidente può essersi verificato solo lavorando con almeno un braccio ‘sotto la lastra’;

2. il macchinario serve per movimentare le lastre TRA una lavorazione e la successiva, NON per eseguire una lavorazione quando il carico è in tutto o in parte sospeso (essendo ciò ‘vietato dalla normativa’);

3. ove eventualmente necessario posizionare un ‘rialzino’ su un piano di lavoro, prima si posiziona il ‘rialzino’ e poi si movimenta la lastra, secondo le indicazioni del manuale d’uso (una mano sulla maniglia, l’altra sul comando della gru) facendo “scendere sul rialzino” la lastra;

4. la procedura corretta è appoggiare e rilasciare ‘la lastra trasversalmente al piano’ di lavoro costituito dalla rulliera;

5. quindi l’unica modalità di operare perché sia possibile che si verifichi l’incidente occorso è quello dello schema già presentato a p. 46 della relazione preliminare, che si riproduce nuovamente, cioè tenere ‘la lastra inclinata’ sospesa tramite la gru mantenendo ‘appoggiato un solo lato della lastra al piano’, cioè lavorando con le braccia ‘sotto la lastra’.”

Il CTU, in definitiva, ritiene che la causa del sinistro non sia riconducibile ad un’azione volontaria o involontaria di chiusura – rotazione di 180° – del rubinetto di presa (con la mano destra), che avrebbe determinato il distacco immediato della lastra di pietra, mentre il lavoratore infortunato aveva la mano sinistra posizionata al di sotto della lastra in pietra.

Appare più plausibile che la lavorazione della “bocciardatura” sia stata eseguita con la lastra inclinata sulla rulliera (in appoggio con lo spigolo inferiore del lato lungo della lastra) senza l’inserimento di uno spessore puntuale, al fine di rendere più comoda la lavorazione sul bordo inferiore (la lavorazione sul bordo superiore si esegue più comodamente con la lastra in appoggio sulla rulliera, senza doverla inclinare).

Per effetto ad es. dello scivolamento della lastra sulla rulliera, l’istinto di trattenerla potrebbe aver indotto ad afferrare la lastra con la mano sinistra libera (essendo la mano destra impegnata ad impugnare la bocciardatrice) provocandone il distacco con schiacciamento della mano sinistra.

Ne deriva che all’esito della manovra posta in essere dal lavoratore la ventosa deve aver perso la capacità di trattenere la lastra per una perdita d’aria, e dunque sarebbe stato sufficiente un dispositivo che avvertisse automaticamente del raggiungimento dell’intervallo di pericolo, quando le perdite di vuoto non possano essere compensate.

Tale dispositivo è espressamente previsto dalla norma UNI EN 13155, che, all’art. 5.2.2.6 prevede la presenza di ‘un dispositivo che avverta automaticamente del raggiungimento dell’intervallo di pericolo, quando le perdite di vuoto non possono essere compensate. Il segnale di avvertimento deve essere ottico o acustico, … deve lavorare anche in presenza di un’interruzione dell’alimentazione del sollevatore a depressione’.

Conseguentemente non può affermarsi che il datore di lavoro abbia fornito la prova liberatoria, ovverosia l’avere adottato ogni cautela in grado di impedire l’evento dannoso.

In altri termini, la cautela seppure non richiesta ai fini della conformità del macchinario alle direttive dell’Unione Europea, non è stata pacificamente adottata e ciò ha comportato il verificarsi dell’infortunio.

Inoltre, la convenuta non ha dimostrato neppure l’adempimento degli obblighi formativi del proprio dipendente, nonché la vigilanza e controllo dello stesso nel corso delle lavorazioni.

Avere permesso ad un proprio dipendente di procedere alla ‘bocciardatura manuale’ senza avere provato l’adeguata formazione costituisce una ulteriore violazione delle più basilari norme in materia di sicurezza, con conseguente responsabilità della convenuta per le lesioni subite dal dipendente.

Al lavoratore viene liquidato un danno biologico permanente nella misura del 44-45%, oltre al periodo di incapacità temporanea e alla perdita della capacità lavorativa specifica di marmista.

In conclusione, il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro, dichiara la responsabilità esclusiva del datore di lavoro e lo condanna al risarcimento del danno complessivo subito dall’attore che liquida in euro 207.000,00 oltre interessi e rivalutazione, e già detratto l’indennizzo percepito e percipiendo dall’Inail; condanna il datore di lavoro al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi euro 15.000,00 , oltre spese, oneri e accessori.

Avv. Emanuela Foligno

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