È stata confermata la condanna per stalking a carico di un uomo che per quattro mesi aveva importunato la vittima con ripetute minacce via SMS e WhatsApp e continui pedinamenti e appostamenti sul luogo di lavoro

La vicenda

Con sentenza emessa nel marzo del 2018, la Corte d’Appello di Venezia confermava la pronuncia di condanna a carico dell’imputato per i reati di violenza sessuale e atti persecutori (cosiddetto stalking) posti in essere ai danni della vittima, condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e sei mesi di reclusione, nonché al risarcimento del danno stimato nella somma complessiva di 30.000 euro.

Secondo i giudici dell’appello l’imputato aveva commesso il delitto di violenza sessuale colpendo con un pugno la vittima, facendola cadere a terra e infilando la propria mano sotto la sua maglietta fino a palpeggiarle insistentemente il seno destro.

L’uomo aveva inoltre commesso il delitto di atti persecutori inviando alla vittima centinaia di messaggi telefonici di contenuto minatorio e offensivo, pedinandola e denigrandola davanti ai clienti dell’esercizio commerciale da ella stessa gestito, così da provocarle attacchi di panico e da indurla a non pernottare più nella propria abitazione, a farsi accompagnare dai suoi genitori in occasione dell’apertura e della chiusura del negozio, nonché a rivolgersi ad un medico psichiatra.

L’utilizzo delle conversazioni telefoniche nel processo penale per stalking

I giudici della Terza Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 4728/2019) hanno confermato la pronuncia della corte d’appello veneta, ribandendo che “i messaggi “WhatsApp” e gli “SMS” conservati nella memoria di un telefono cellulare sottoposto a sequestro hanno natura di documenti ai sensi dell’articolo 234 c.p.p., sicché la loro acquisizione non è sottoposta alla disciplina delle intercettazioni telefoniche e nemmeno a sequestro di corrispondenza. Anzi la giurisprudenza, sul punto, ha affermato che ha natura di documento pure il testo di un messaggio sms fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell’apparecchio cellulare su cui è pervenuto (Sez. I, n. 21731/2019).

Sulla base di questi principi è ragionevole ritenere che le copie, ivi comprese quelle fotografiche di messaggi “WhatsApp” e “SMS”, formati dalla persona offesa, e dalla stessa prodotte in giudizio, sono liberamente valutabili ai fini della decisione, se il giudice dia conto della riferibilità del loro contenuto all’imputato.

La pronuncia della Cassazione

Nella specie la sentenza impugnata aveva ritenuto l’utilizzabilità delle copie dei messaggi prodotte dalla difesa rilevando che l’imputato non avesse smentito la riconducibilità di tali comunicazioni alla propria utenza telefonica, essendosi piuttosto, limitato a negare alcuna di esse, senza tuttavia fornire alcuna plausibile giustificazione.

I giudici della Corte territoriale avevano, inoltre, ritenuto accertato sia l’episodio di violenza sessuale sia la successiva condotta di atti persecutori protrattasi per quattro mesi, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e dei plurimi riscontri, quali le dichiarazioni del suo finanziato che aveva non solo confermato l’avvenuta aggressione, ma aveva anche riferito di aver visto i graffi sul collo e sull’alto torace della ragazza, di aver constatato la ricezione, da parte della stessa, di messaggi minacciosi provenienti dall’imputato e di aver vissuto il suo stato di ansia e di tensione.

La ricostruzione di tali episodi è stata considerata dai giudici della Suprema Corte immune da vizi logici e giuridici oltre che coerente sul piano motivazionale.

Nessun dubbio neppure in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti: l’insistito palpeggiamento, con conseguente eccitazione sessuale dell’imputato, era senza dubbio sussumibile nella fattispecie di violenza sessuale; così come le ripetute minacce via messaggi telefonici, i pedinamenti continui e i contatti con i clienti della vittima al fine di screditarla, non potevano che farsi rientrare nello schema tipico del delitto di atti persecutori.

In definitiva il ricorso è stato rigettato perché inammissibile.

La redazione giuridica

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