L’età avanzata della vittima non presuppone necessariamente l’aggravante della minorata difesa, ma è necessaria una valutazione per ogni singolo caso specifico

La vicenda

Il Tribunale del riesame di Milano aveva annullato l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lecco aveva applicato a carico dell’indagato la misura coercitiva dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in relazione al reato di truffa aggravata commessa ai danni di una persona di 73 anni.

Al riguardo, il giudice del riesame aveva ritenuto insussistenti i presupposti di legge.

Ed infatti, la pena detentiva massima prevista dall’art. 640, primo comma, cod. pen. (non altrimenti aggravato) non è superiore a tre anni di reclusione e non è, pertanto, idonea a sostenere il “peso” della cautela coercitiva. Nel caso di specie, visto il tipo di reato e le condizioni di lucidità manifestate dalla vittima durante la consumazione del delitto, il Tribunale di Milano aveva escluso l’aggravante della “minorata difesa” disciplinato dall’art. 61, comma 1, n. 5, cod. pen.

Il ricorso per cassazione

Contro l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero, deducendo, a unico motivo della impugnazione la violazione di legge (art. 61, primo comma n. 5, cod. pen.), atteso che l’aggravante della minorata difesa, nel caso della avanzata età anagrafica della persona offesa (73 anni al momento del fatto), sarebbe in re ipsa.

In altre parole, ad avviso del pubblico ricorrente il legislatore avrebbe inserito nel tessuto codicistico, con la novella del 2009, una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza o accresciuta pericolosità dell’autore, in ragione della minorazione delle capacità della vittima di resistere al raggiro, così come alla aggressione, per motivi anagrafici.

«L’argomento – hanno affermato i giudici della Suprema Corte – prova troppo».

«L’invocata assolutezza della presunzione, peraltro ancorata ad un presupposto anagrafico quanto mai indeterminato “l’età”, confligge apertamente con la necessità di interpretazione conforme a Costituzione delle norme incriminatrici e di quelle che ne aggravano la dimensione sanzionatoria. Al riguardo, infatti, la Consulta (Corte cost. n. 48/2015, 213/2013, 57/2013, 110/2012, 331/2011, 164/2011, 265/2010) ha più volte affermato che “le presunzioni assolute, specie quando limitano diritti fondamentali della persona, violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit“.

La giurisprudenza e la decisione della Cassazione

Simili argomentazioni devono, poi, essere valutate alla luce della modifica testuale dell’art. 61 c.p., n. 5, a seguito della L. 15 luglio 2009, n. 94, entrata in vigore il 8/8/2009, in epoca antecedente alle condotte contestate, dovendosi ritenere che l’avere approfittato di circostante di tempo, di luogo o di persone tali da ostacolare la pubblica o privata difesa debba essere specificamente valutato anche in riferimento all’età senile della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità dalla quale l’agente trae consapevolmente vantaggio (in tal senso, v. Cass. Sez. 2, Sent. 35997 del 23.9.2010).

Ebbene, nel caso in esame il Tribunale di Milano aveva puntualmente argomentato la propria decisione, evidenziando e giustamente valorizzando “la vigile attenzione reattiva prestata dalla persona offesa ai raggiri e la pronta risposta tenuta anche nel raccogliere elementi utili alla identificazione dell’agente”; circostanza quest’ultima che non era neppure stata contestata dalla pubblica accusa.

In conclusione, la Seconda Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 47186/2019) ha rigettato il ricorso, affermando che “le norme incriminatrici o quelle che aggravano il trattamento sanzionatolo, vanno interpretate in senso conforme ai principi espressi dalla Costituzione repubblicana, senza che da esse possano irragionevolmente trarsi presunzioni assolute di maggiore riprovevolezza della condotta in ragione di circostanze (peraltro generiche) che non tollerano dimostrazione in fatto del contrario”.

La redazione giuridica

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