Si è concluso il processo di primo grado a carico di un ginecologo e un anestesista finiti a giudizio per il decesso di una donna di 38 anni morta dopo un trattamento di agoaspirazione ovarica per la fecondazione assistita

Un ginecologo e un anestesista in servizio in provincia di Bari sono stati condannati a un anno e 8 mesi ciascuno per il decesso di una donna di 38 anni, morta dopo un trattamento di agoaspirazione ovarica per la fecondazione assistita nel giugno del 2015.

All’epoca della tragica scomparsa sulla vicenda era intervenuto anche il Ministero della Salute, i cui ispettori avevano evidenziato come fosse stata “sottovalutata la presenza di importanti fattori di rischio quali obesità, ipertensione, diabete e cardiopatia”.

La donna avrebbe presentato un quadro clinico complesso, con presenza di “ipertensione arteriosa, diabete mellito, obesità, irsutismo, steatosi epatica, calcolosi della colecisti, blocco di branca sinistra”.

Nella Relazione preliminare sul decesso della donna, gli esperti della task force del dicastero di Lungotevere Ripa, sottolineavano come durante le prime fasi di agoaspirazione dei follicoli ovarici, la signora avrebbe manifestato “rush cutaneo e difficoltà respiratoria” ma nel giro di pochi minuti i sintomi erano regrediti, venne deciso dal ginecologo e dall’anestesista di continuare la procedura, che venne portata a termine”.

Inoltre la signora, durante il trasferimento dal lettino operatorio al letto mobile di degenza, avrebbe riferito di “non respirare bene” per cui era stata rapidamente portata in sala risveglio e poiché presentava una frequenza cardiaca elevata, era stato chiamato in consulenza il cardiologo presente nella struttura.

La paziente, per il peggioramento dei parametri vitali, era stata intubata e le erano stati somministrati farmaci salvavita. Nonostante ciò e “le successive numerose manovre di defibrillazione” la donna era poi deceduta.

Gli ispettori avevano osservato come “ai fini della ottimale gestione del caso in questione, sarebbe stato necessario sviluppare una modalità di lavoro d’equipe” che avrebbe dovuto esplicitarsi, in particolare, nel corso della stessa procedura e nel momento in cui la signora aveva avuto i primi sintomi di difficoltà respiratoria.

Le indagini avviate dalla Procura avevano portato al rinvio a giudizio dei due professionisti indagati. A conclusione del processo il Pm aveva chiesto la condanna per entrambi i medici a 4 anni di reclusione, mentre i legali della difesa avevano invocato l’assoluzione dei loro assistiti sostenendo  che la morte della paziente sarebbe da ricondurre  a una complicazione imprevedibile. Nelle scorse ore il giudice monocratico del Tribunale di Bari ha riconosciuto le responsabilità dei due medici i quali dovranno anche risarcire i parenti della vittima, costituitisi parte civile.

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