Due medici rischiano di finire a giudizio per il decesso di un paziente morto dopo un intervento di ablazione a radiofrequenza nel gennaio del 2019
La Procura di Ragusa ha chiesto il rinvio a giudizio di due camici bianchi dell’ospedale del capoluogo di provincia siciliano, accusati del decesso di un paziente morto dopo un intervento di ablazione a radiofrequenza, una procedura medica utilizzata a scopo terapeutico per intervenire sul sistema di conduzione del cuore.
Si tratta nello specifico, di un cardiologo e di un medico di guardia dell’Unità di Terapia intensiva coronarica, entrambi iscritti nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato di omicidio colposo.
Il fatto risale al gennaio del 2019. In base a quanto accertato dalla consulenza medico legale disposta dalla magistratura, il paziente sarebbe deceduto a distanza di 11 giorni dall’operazione per “danno ipossico ischemico multiorgano (MOF) in soggetto con sepsi e cid in fase emorragica e pancreatite acuta, conseguenti a sofferenza cerebrale acuta ed irreversibile, quale esito di un arresto cardiaco per shock cardiogeno da tamponamento cardiaco insorto a seguito di ablazione radiofrequenza in fibrillante atriale cronico”.
Secondo quanto riportato dagli organi di stampa locale, al cardiologo viene contestato di aver agito con negligenze e imperizia, per “non aver gestito adeguatamente la perforazione cardiaca verificatasi nel paziente” quale conseguenza della procedura. Il professionista si sarebbe limitato ad eseguire un primo intervento di pericardiocentesi alle ore 17,20, – rilevatosi infruttuoso per l’inadeguatezza del tipo di ago utilizzato, pur essendo disponibili presso il nosocomio gli strumenti idonei – e avrebbe rimandato il paziente in Utic alle successive ore 19,20 non drenato; avrebbe poi eseguito due drenaggi solo in conseguenza dell’arresto cardiaco verificatosi alle ore 23, per poi disporre il trasferimento in rianimazione alle 1,43 del 8 gennaio 2019. Il tutto mentre le buone pratiche clinico-assistenziali – secondo l’ipotesi accusatoria – avrebbero imposto l’immediato trasferimento e l’approntamento di una pronta ed idonea terapia infusionale.
Il medico della Utic, invece, avrebbe contattato solo alle 22,35 il rianimatore ed il medico emodinamista, omettendo dal suo ingresso in turno (alla 20.00) di monitorare adeguatamente i parametri vitali e di drenaggio, pur avendo rilevato già alle 20,30 che il paziente versava in condizioni critiche ed era ipoteso.
Spetterà ora al Giudice dell’udienza preliminare, fissata per il prossimo febbraio, decidere se i due medici dovranno essere processati o meno.
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