Omesso monitoraggio dell’attività cardiaca ed errata diagnosi (Tribunale Benevento, sez. II, 23/08/2022, n.1940).
Omesso monitoraggio dell’attività cardiaca oltre a errata diagnosi è quanto viene lamentato dai congiunti del paziente deceduto che citano a giudizio l’Azienda Ospedaliera.
In sintesi, viene sostenuto che l’Azienda Ospedaliera assumendo un comportamento assolutamente censurabile, nel complesso integrante responsabilità professionale medica, in contrasto con le regole dell’arte e della miglior scienza medica, con le linee guida e le buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica nazionale ed internazionale, avrebbe determinato la mancata guarigione del paziente ed il repentino progressivo peggioramento delle condizioni di salute e la morte dello stesso.
Viene anche lamentato che la convenuta non avrebbe effettuato la corretta diagnosi, la diagnosi differenziale, e avrebbe omesso monitoraggio dell’attività cardiaca.
La domanda viene ritenuta fondata.
I congiunti del paziente hanno dedotto e provato che in data 28/04/2018 il paziente, di anni 66, lamentando forti dolori addominali si recava presso il P.S. dove veniva sottoposto a visita medica, ad esami clinici generali e gli veniva praticata terapia antidolorifica; lo stesso paziente veniva dimesso alle ore 17,30 dello stesso giorno con la diagnosi di “colica addominale in paziente IRC ed ipertrofia prostatica.
Il medesimo giorno, a tarda sera, il paziente veniva ancora accompagnato dai familiari presso il P.S. dove solo in data 29/04/2018, alle ore 1.26 circa veniva visitato dai medici, con diagnosi di ingresso di: “oligo-anuria e dolore addominale”; qui veniva sottoposto ad esame obiettivo; veniva richiesta rx diretta addome ed eco addome.
Nel verbale di P.S. (sempre del 29/04/2018) veniva poi annotato quanto segue: “TD: lobivon, pantoprazolo, reaptan.avodart, creon, cardospirina, omic, novorapid, tresiba, spiriva e aliflus; paziente sveglio e vigile eupnoico; P.A.120/70 –fc 89 bpm –sat. in aa 92% – lamenta dolore addominale NRS 5/10; al cuore attività cardiaca ritmica, toni lontani – addome globoso meteorico, ma trattabile peristalsi torpida; assenza di ademi declivi; polsi validi e simmetrici; si cateterizza la vescica: fuoriuscita di pochi ml di urina; EAB: acidosi validie simmetrici; si richiede rx diretta addome ed eco addome; si somministra Na HCO3 500 ml e c – ore 5 il paziente lamenta dolore addominale – si posiziona SNG con emissione di abbondante materiale gastrico – pratica SF 500 cc + 500 cc – si monitorizza: PA 110/70 fc 90 bpm sat in aa 90% – persiste aneuria – si richiede consulenza chirurgica – ore 7,15 paziente in improvviso arresto cardiorespiratorio – al monitor bradicardia marcata assenza di polso centrale e periferico inizia RCP rianimatore, già presente in P.S. – previa aspirazione di materiale fecoidale si esegue IOT e si somministra adrenalina ogni 3 minuti Al monitor persiste PEA. Alle ore 7,45 si sospendono le manovre rianimatorie”, da cui l’exitus (verbale P.S. 15747 del 29/04/2018).
Ebbene, nonostante l’anamnesi e storia clinica del paziente (con importanti patologie pregresse e concomitanti), i medici omettevano e comunque non formulavano una corretta diagnosi, non sottoponevano il paziente alle adeguate terapie e cure del caso, ovvero non raccoglievano l’anamnesi patologica, remota e prossima, non praticavano accurato esame obiettivo, nè alcuna indagine di laboratorio specifica e quindi esami clinici e diagnostico strumentali di routine (ecg, rx torace ed esami di laboratorio, ecc…) necessari a formulare una corretta diagnosi, diagnosi che comunque formulavano in modo errato.
Ed ancora veniva somministrata errata terapia farmacologica (toradol e spasmex) ad azione antidolorifica, che semplicemente attenuavano la sintomatologia dolorosa, farmaci assolutamente controindicati, dato che, attenuando il dolore, non consentivano di proseguire nelle indagini e di individuare la reale patologia in atto (infarto, come da diagnosi finale effettuata dai medici del San Pio di Benevento, solo al momento della morte), di talchè ne deriva anche omesso monitoraggio dell’attività cardiaca.
Da dette condotte impudenti, negligenti e imperite, nonché irrispettose delle linee guida e delle più elementari prassi diagnostiche terapeutiche, derivava che il paziente veniva dimesso e fatto rientrare presso la propria abitazione.
Dopo poche ore il paziente rientrava in P.S. e i Medici procedevano ad anamnesi patologica prossima e ad esame obiettivo e nonostante in anamnesi risultasse il “pregresso infarto trattato con PTCA+stent” e nonostante la frequenza cardiaca alterata (89 battiti – bpm) e la ridotta saturazione in aa 92% (scesa poi a 90% con frequenza 90 bpm) effettuavano l’esame ECG (elettivo per monitorare la attività cardiaca) in netto ritardo e cioè solo alle ore 7.38 del giorno 29/04/2018, e quindi poco prima del decesso refertato alle ore 7.45 del 29/04/2018.
Il Giudice evidenzia che “Non occorre una consulenza medico legale per ritenere – giudice peritus peritorum – il comportamento assunto dai medici assolutamente non in linea con le linee guida e violative delle più elementari regole dell’arte medica. I sanitari hanno omesso la corretta diagnosi, e non hanno monitorato l’attività cardiaca del paziente, pur in presenza di dolori addominali (possibile sintomo di infarto in corso), determinando il ritardo della corretta diagnosi e le terapie d’urgenza possibili, sia farmacologiche, che chirurgiche che rianimatorie.
L’azienda sanitaria convenuta viene condannata al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti direttamente agli attori, da liquidarsi iure proprio.
Le spese seguono la soccombenza.
Avv. Emanuela Foligno
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