Operazioni di pulizia con soda caustica e lesioni agli occhi

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Il datore di lavoro veniva prima condannato dal Tribunale, poi assolto dalla Corte d’Appello per il reato di lesioni personali gravi (ustione congiuntivale da soda caustica) in danno del proprio dipendente. La Cassazione annulla la sentenza e rinvia al Giudice di appello (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 10 giugno 2024, n. 23049).

La vicenda

Il lavoratore in questione, su richiesta del datore di lavoro, si era recato presso l’orto per svolgere lavori di piantumazione e semina, terminati i quali era rientrato in stabilimento. Quindi aveva contattato il responsabile della cantina, nonché delegato alla sicurezza aziendale T.V., il quale lo aveva invitato a effettuare la pulizia dei macchinari ivi presenti.

Egli quindi aveva diluito in una brocca la soda caustica con acqua e aveva proceduto alla pulizia della coclea. Si era diretto verso la macchina diraspatrice, posta in un vano a livello inferiore del piano di calpestio e, nel tentativo di pulire il macchinario, aveva effettuato un movimento incauto ed era scivolato sull’asse di legno posto sopra il macchinario. In conseguenza della caduta, il reagente chimico entrava in contatto con gli occhi dell’operaio, che riportava lesioni.

Secondo l’accusa, gli addebiti di colpa nei confronti dell’imputato consistono:

  • a) nella omessa adozione nel DVR delle misure e principi generali per la prevenzione dei rischi connessi all’uso di agenti chimici pericolosi, quali la soda caustica;
  • b) nel non aver fornito al lavoratore adeguata formazione e informazione sui rischi derivanti dalla gestione, manipolazione, utilizzo di agenti chimici sul luogo di lavoro;
  • c) nell’aver omesso di vigilare sull’effettivo utilizzo da parte dei dipendenti e in specie di quello infortunato, dei DPI nell’effettuare la suddetta lavorazione.

Il ricorso in Cassazione

Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la parte civile, ai soli effetti civili.

In sintesi, la vittima lamenta il mancato riconoscimento di responsabilità del datore di lavoro e deduce che è principio consolidato quello secondo il quale, in tema di infortuni, il datore deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle eventualmente impartitegli: ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri con il consenso del preposto una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro, che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (in tal senso Sez. 4 del 28/10/2021, n.45575).

La vittima non aveva ricevuto la formazione adeguata

La Corte di appello, sempre secondo la vittima, non avrebbe tenuto conto che la vittima non aveva mai ricevuto adeguata formazione in ordine alle cautele da osservare per l’attività di pulizia con la soda caustica e che, essendo manovale agricolo, non avrebbe mai dovuto nemmeno collaborare in operazioni che prevedevano l’uso di sostanze chimiche. La colpa del datore di lavoro deve essere, dunque, identificata nell’omessa vigilanza del preposto, il quale, a sua volta, aveva avallato prassi contra legem.

Tutte le doglianze della parte civile, incentrate, come visto, sulla pronuncia assolutoria di secondo grado, sono fondate.

Innanzitutto è risultato pacifico che il lavoratore si era infortunato mentre effettuava operazioni di pulizia di un macchinario con la soda caustica, senza avere alcun mezzo di protezione e senza essere stato formato e informato rispetto all’utilizzo, gestione e manipolazione di reagenti chimici.

In primo grado il Giudice aveva valorizzato la testimonianza resa dalla persona offesa, la quale aveva riferito di aver ricevuto dal preposto e delegato alla sicurezza, l’ordine di pulire i macchinari con la soda caustica, come già in passato. Aveva anche dato rilievo alla trascrizione della conversazione intercorsa tra la vittima, i suoi genitori e il preposto: questi aveva ammesso che in azienda non vi erano attrezzature protettive idonee e di non essere a conoscenza della pericolosità della soda caustica e aveva commentato che già in passato la vittima, pur non avendo seguito alcun corso di formazione, lo aveva coadiuvato in tali operazioni di pulizia ed era rimasto colpito da uno schizzo di soda caustica, per fortuna sui pantaloni.

Nesso causale tra la condotta colposa e l’evento delittuoso

Il Tribunale aveva ritenuto che, secondo un giudizio controfattuale, sussistesse il nesso causale tra la condotta colposa e l’evento delittuoso, essendo ascrivibile la lesione riportata dal lavoratore all’omessa adozione di misure e accorgimenti imposti all’imprenditore dalle norme di legge posta a tutela dell’integrità del lavoratore. La Corte di Appello, invece, ha ribaltato la condanna, adottando il seguente ragionamento:

  • presso l’azienda il rischio di esposizione ad agenti chimici era qualificabile basso e l’unico lavoratore addetto all’uso della soda caustica era il preposto, all’uopo regolarmente formato, come risultante dal DVR e dagli attestati di formazione.
  • l’obbligo del datore di lavoro di formare la vittima in ordine al rischio chimico non poteva discendere dalla riferita esposizione, in via di fatto, in occasioni precedenti al sinistro: verosimile era, infatti, la tesi difensiva, secondo la quale costui, in passato, aveva soltanto assistito il preposto durante le operazioni di pulizia con la soda caustica e si era limitato a tenere il tubo per sciacquare la vasca del vino, senza mai utilizzare personalmente tale pericoloso reagente e, comunque, indossando gli opportuni dispositivi di protezione.

Ragionando in tal senso la Corte ha escluso in capo al datore di lavoro i profili di colpa specifica contestati e ritenuti sussistenti dal primo Giudice, ovvero sia la culpa in eligendo, sia la culpa in vigilando. L’attività posta in essere dalla vittima, inconsueta per la stagione e imprevedibile nella modalità, era stata commissionata da altri ed era idonea a interrompere il nesso causale tra la condotta colposa contestata all’imputato e l’evento lesivo, in quanto “comportamento eccentrico ed esorbitante rispetto alle mansioni assegnategli”.

Il ragionamento della Corte di appello è totalmente errato, sia sul piano giuridico, sia su quello della valutazione delle prove.

La Corte non ha tenuto conto di alcuni fondamentali principi che presiedono alla materia della sicurezza sui luoghi di lavoro e alla salute del lavoratore.

il datore di lavoro deve vigilare per impedire l’instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, ove si verifichi un incidente in conseguenza di una tale prassi instauratasi con il consenso del preposto, l’ignoranza del datore di lavoro non vale ad escluderne la colpa, integrando essa stessa la colpa per l’omessa vigilanza sul comportamento del preposto“. Soprattutto la Corte di Appello, nel definire “eccentrica ed imprevedibile” la condotta del lavoratore infortunato, non ha tenuto conto dei principi espressi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia.

È pacifico il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore.

La S.C. ribadisce il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro.

Conclusivamente, la sentenza impugnata viene annullata ai fini civili, con rinvio, per nuovo, giudizio, al Giudice di appello.

Avv. Emanuela Foligno

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