I Giudici rigettano la domanda di responsabilità sanitaria in quanto l’aggravamento delle condizioni della paziente derivava dall’evoluzione della pregressa patologia e non dalle modalità di esecuzione dell’intervento chirurgico.
La vicenda
Nel 2004 la paziente, affetta da ernia iatale da scivolamento con reflusso gastroesofageo, si sottoponeva ad un intervento di fundoplicatio in via laparoscopica eseguito presso l’ospedale di Mazzarino.
Dopo l’intervento continuava ad accusare disturbi e veniva sottoposta a un nuovo intervento di decompressione della plastica antireflusso, a tre mesi di distanza dal precedente, presso struttura diversa di Catania.
A seguito di accertamenti clinici svolti dopo il secondo intervento, citava in giudizio la ASP di Caltanissetta e il Medico lamentando una non corretta esecuzione dell’operazione. Il Tribunale di Caltanissetta rigettava la domanda per mancanza di nesso eziologico.
In secondo grado la Corte di Appello, previa seconda CTU, rigetta la domanda svolta nei confronti dell’Ospedale di Mazzarino e del Medico. I giudici escludevano che fosse stato provato un rapporto di causalità tra le conseguenze dannose lamentate dalla paziente e le modalità di esecuzione dell’intervento chirurgico. Secondo i Giudici l’aggravamento delle condizioni era determinato dall’evoluzione della pregressa situazione patologica, ovvero che fosse un evento riconducibile alla nozione di semplice complicanza, astrattamente prevedibile ma non evitabile, integrante gli estremi della causa non imputabile. Veniva anche escluso che dalla diagnosi rilasciata in sede di dimissioni dopo il secondo intervento potesse dedursi l’esecuzione di una plastica troppo serrata nel corso del primo intervento chirurgico.
Il ricorso in Cassazione inammissibile
La questione, posta al sindacato della Corte di Cassazione, non supera il vaglio preliminare di ammissibilità.
Viene “rimproverato” al Medico di aver effettuato un primo intervento, per risolvere il problema di ernia iatale con grave reflusso esofageo del quale era afflitta la paziente; l’intervento sarebbe stato inidoneo e costringeva la paziente ad un nuovo intervento, correttivo del precedente, a breve distanza di tempo.
Parimenti viene denunciata la nullità della CTU, ma non viene indicato se sia stata tempestivamente rappresentata nel giudizio di secondo grado.
Anche riguardo il dedotto travisamento della prova, non viene indicato in cosa consisterebbe.
Infine, il nono e ultimo motivo di censura fa riferimento ad una eventuale discrasia tra le affermazioni del C.T.U. e quelle del Giudice di primo grado, ciò è del tutto irrilevante perché oggetto della impugnativa in Cassazione può essere esclusivamente la sentenza di appello.
Per tutte le ragioni indicate il ricorso viene dichiarato complessivamente inammissibile con condanna al pagamento delle spese di giudizio (Cassazione Civile, sez. III, 08/04/2024, n.9416).
Avv. Emanuela Foligno