L’esito infausto dell’intervento poteva essere evitato usando la normale diligenza e facendo adeguata applicazione delle buone pratiche e linee guida note per il tipo di trattamento (Tribunale di Lucca, Sentenza n. 757/2021 del 03/09/2021 RG n. 4660/2015)

La paziente chiama a giudizio l’Azienda USL Toscana per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell’intervento chirurgico. Deduce che: in data 12.6.201 3, si era sottoposta ad una colonscopia di controllo, dalla quale era emersa l’esistenza di un polipo intestinale e che, di conseguenza, in data 11.7.2013, era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di asportazione del polipo; i medici avevano ritenuto di procedere ad una linfoadenectomia estesa e ad una resezione del retto e del sigma, secondo la tecnica chirurgica nota come Total Mesorectal Excision; tuttavia, da un lato i sanitari avevano errato nella scelta del tipo di trattamento, poiché, vista la natura benigna del polipo da asportare, non era necessario un intervento ampiamente demolitorio e che espone il paziente ad un maggior rischio di lesione neurologica, dall’altro avevano errato nella modalità concreta di esecuzione dell’intervento, che era stato praticato in difformità rispetto alla buona pratica clinica per quel tipo di operazione; il suddetto intervento aveva causato due gravi conseguenze, da ricondursi alla lesione intraoperatoria del nervo pudendo: la totale ritenzione urinaria per incapacità di minzione ed una grave incontinenza fecale, da cui era derivata l’installazione di un catetere urinario permanente ed una grave forma di depressione.

L’Azienda Ospedaliera deduce: il tipo di intervento praticato (Total Mesorectal Excision) doveva ritenersi corretto, in quanto la lesione da asportare si presentava di importanti dimensioni (mm 70×50) e di tipo circonferenziale e considerato che permaneva il dubbio di malignità della lesione; l’esecuzione dell’intervento era avvenuta nel pieno rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; di conseguenza, in assenza di colpa dei sanitari, l’esito infausto era da ricondursi alle prevedibili complicanze del tipo di intervento praticato, dunque da valutarsi come causa non imputabile alla responsabilità dei sanitari.

Nelle more del deposito della consulenza Medico-Legale, quando le operazioni peritali erano ancora in corso di svolgimento, l’attrice ha chiesto l’autorizzazione a produrre ulteriore documentazione sanitaria, relativa ad esami ematochimici ed eco-addome, cui ella si era sottoposta nell’anno 2020 e volta a comprovare un ulteriore esito infausto dell’intervento, rappresentato da complicanze di natura renale.

La documentazione è stata ritenuta inammissibile e pertanto l’accertamento peritale non è stato esteso anche a tale ulteriore profilo di indagine.

Preliminarmente il Tribunale dà atto che la dedotta responsabilità vada inquadrata nell’alveo della responsabilità contrattuale, con tutte le relative conseguenze in tema di riparto dell’onere probatorio, trattandosi di intervento chirurgico praticato, in regime di degenza ospedaliera, da personale sanitario dipendente della struttura pubblica convenuta.

Ciò premesso è incontestato tra le parti che a seguito di una serie di accertamenti diagnostici, svolti tra il 12.6.2013 ed il 1.7.2013 per comparsa di sangue occulto nelle feci (colonscopia con esame istologico del prelievo bioptico, ecografia addome/ecografia transrettale, TC Total Bod y), l’attrice è stata avviata a consulto multidisciplinare, a seguito del quale veniva formulata diagnosi di polipo del retto.

I sanitari hanno ritenuto che tale polipo intestinale non fosse trattabile endoscopiscamente, ma fosse necessario un intervento chirurgico maggiormente invasivo, noto come Total Mesorectal Excision, poi praticato in data 11.7.2013.

Pacifico, inoltre, che la paziente ha regolarmente sottoscritto il modulo di consenso informato, nel quale sono stati esplicitati sia il tipo di intervento che le possibili complicanze, tra le quali figurano occlusioni intestinali e disturbi urologici o della sfera sessuale, con necessità di posizionamento di catetere vescicale.

L’attrice lamenta due conseguenze dannose: la totale ritenzione urinaria per incapacità di minzione ed una grave incontinenza fecale.

Nel corso di svolgimento delle operazioni peritali, invece, a più riprese l’attrice ha domandato che l’indagine peritale si estendesse anche all’accertamento circa un’ulteriore e diversa conseguenza dannosa, anch’essa ritenuta riferibile all’intervento e rappresentata da un ‘insufficienza renale cronica, quadro patologico ulteriore e distinto rispetto al danno lamentato nell’atto introduttivo.

L’accertamento del nesso di causalità tra tale ulteriore danno e l’intervento, sul quale peraltro la parte convenuta nulla ha potuto dedurre, in quanto introdotto successivamente al maturare delle preclusioni processuali, avrebbe richiesto, vista l’asserita natura nefrologica delle conseguenze, anche una diversa composizione del collegio peritale.

L’attrice non deduce un aggravamento della condizione lamentata rispetto alla data in cui il procedimento è stato instaurato, ma un altro e diverso danno, di natura renale (a suo dire) correlato all’installazione permanente di catetere e dunque causalmente riconducibile all’intervento praticato.

Si tratta, dunque, di un tema di indagine nuovo, inammissibile successivamente al maturare delle preclusioni processuali.

Venendo alle considerazioni dei CTU, per quanto concerne la scelta dell’intervento praticato, nel primo elaborato peritale il Consulente ha sottolineato che la Total Mesorecatal Excision non poteva considerarsi operazione chirurgica errata, poiché quello da asportare era un polipo circonferenziale ed esteso.

In tale sede, il Consulente ha precisato che vi erano astrattamente alternative rispetto alla resezione e, nella specie, la Transanal Ensoscopic Microsurgery o la Endoscopic submucosal dissectomy, ma non si è spinto sino al punto di ritenere che tali tecniche chirurgiche fossero in concreto praticabili nel caso specifico del trattamento della paziente, evidenziando che, se del caso, avrebbero dovuto essere proposte e discusse con la stessa, con eventuale trasferimento in centro di secondo livello, qualora l’una delle suddette opzioni fosse risultata possibile, ma non disponibile nel centro lucchese.

Tale ricostruzione è sostanzialmente confermata anche nel secondo elaborato peritale, nel quale i CTU hanno analizzato esclusivamente il profilo delle modalità di esecuzione dell’intervento praticato, senza mettere in discussione la scelta di operare secondo la indicata tecnica chirurgica.

Oltretutto, anche le considerazioni del CTP dell’attrice, che pure ha ritenuto eccessiva la tecnica chirurgica praticata rispetto al trattamento del tipo di diagnosi, non forniscono una chiara ed univoca proposta alternativa di intervento, né consentono di ritenere che, nel caso specifico, la rimozione del polipo avrebbe potuto essere adeguatamente praticata anche per il tramite di una diversa soluzione chirurgica.

Ad ogni modo, seppur ritenendo che la Total Mesorectal Excision fosse adeguata, nelle modalità concrete di esecuzione dell’intervento in questione è risultata provata, all’esito dell’istruttoria espletata, la responsabilità dei sanitari, cui sono state ascritte le conseguenze dannose riscontrate.

I CTU hanno evidenziato “è vero che la disfunzionalità urinaria costituisce una complicanza nota del tipo di intervento praticato, di talché l’esito non può ritenersi del tutto anomalo, ma, appunto, quale possibile conseguenza iatrogena del tipo di trattamento. Difatti, i danni funzionali (complicanze) derivanti da lesioni dei plessi pelvici possono essere disfunzioni intestinali, disfunzioni urinarie, disfunzioni sessuali e la ritenzione urinaria da paralisi neurogena della vescica rientra nelle disfunzioni urinarie… proprio perché vi sono concreti rischi di lesione delle aree innervate, nel praticare la resezione in oggetto l’operatore chirurgo colonrettale deve essere a conoscenza dei riferimenti anatomici e dei rischi di lesioni iatrogene durante la dissecazione, al fine di evitare danni ai nervi e deve operare con lo scopo dedicato di preservare la funzione dei nervi autonomi . Valutando la condotta dei sanitari, [… ] nel caso della sig.ra non erano presenti fattori specifici che possano giustificare un aumentato rischio di lesione iatrogena delle strutture nervose e tali, dunque, da poter ritenere estranea sul piano causale la condotta dell’operatore rispetto al verificarsi del danno neurologico: la pelvi è quella femminile, meno a rischio perché più ampia, non si operava su un tumore esteso oltre la fascia, ma su un polipo con semplice sospetto di neoplasia maligna, non c’erano gli effetti della radioterapia etc. Pertanto, pur se la vescica neurogena è una complicanza descritta nella chirurgia rettale, il rischio in questo caso era particolarmente basso mentre l’entità del danno è molto grave (catetere a permanenza senza alcun recupero funzionale)…. la grave e specifica complicanza riscontrata nell ‘attrice non può ritenersi complicanza normale dell’intervento. La condizione clinica complessiva della paziente , che non aveva particolari rischi specifici, dovuti ad altre e diverse condizioni patologiche pregresse, e nei riguardi della quale l’intervento poteva ritenersi riconducibile ad un rischio del tutto ordinario, non giustificano infatti l’esito infausto verificatosi, evento da ritenersi evitabile usando la normale diligenza e facendo adeguata applicazione delle buone pratiche e linee guida note per il tipo di trattamento”.

Il Giudicante condivide le conclusioni dei CTU e afferma la responsabilità dei sanitari per le lesioni subite dall’attrice.

Sulla quantificazione del danno, il collegio peritale ha sottolineato che “pur trattandosi di lesione nervosa instauratasi in maniera irreversibile sin dall’esecuzione dell’intervento chirurgico e considerando che un periodo di inabilità temporanea parziale sarebbe comunque conseguito all’esito favorevole dell’intervento chirurgico, si può considerare, quale ulteriore prolungamento dei tempi di stabilizzazione clinica, il periodo resosi necessario per l’esecuzione di accertamenti clinico-diagnostici di natura neuro -urologica ed il periodo di addestramento della paziente all’autocateterismo e di definitivo adattamento alla condizione di disfunzionalità vescicale, che è possibile quantificare in circa 6 mesi di DBT al 25%”, mentre ha ricondotto all’intervento, tenuto conto del caso concreto ” un danno biologico permanente aderente alla soglia massima del range, cioè nella misura del 30% (trenta per cento)”.

Il collegio peritale ha inoltre affermato che il danno andrebbe adeguatamente personalizzato, in ragione dei turbamenti quotidiani e dell’incidenza sulla vita dinamico relazionale.

Al riguardo il Giudice osserva che tale profilo attiene al ristoro della sofferenza patita (danno morale), più che alla personalizzazione del danno biologico, che ha riguardo alla straordinarietà delle conseguenze patite, in ragione della peculiarità delle abitudini di vita del s oggetto, in epoca antecedente al verificarsi del danno.

Dunque, oltre al danno biologico, accertato dai CTU, viene ritenuto comprovato uno stato di sofferenza interiore dell’attrice, per la particolare tipologia di conseguenze subite, che la costringono ad indossare un catetere urinario, che comportano una frequente minzione e che hanno necessariamente inciso sullo stato d’animo della medesima, provocando senz’altro uno stato di prostrazione e vergogna, al cui ristoro deve provvedersi.

Il ristoro del danno viene quantificato in:

  • euro 85.946,00 per postumi permanenti del 30%;
  • incremento per sofferenza interiore;
  • euro 4.455,00 per 180 giorni di invalidità temporanea parziale al 25% e così per complessivi euro 129.936,00 .

Respinta, invece, la domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, per lavoro domestico.

L’attrice non ha fornito alcuna prova circa il fatto che prima del sinistro, si occupasse di tutte le attività domestiche e che, dopo il sinistro, non sia stata più in grado di attendervi come prima.

L’Azienda USL Toscana viene condannata a pagare gli importi sopra indicati, oltre spese di lite per euro 13.430,00, spese di CTU e di CTP.

Avv. Emanuela Foligno

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