La vittima ha stipulato con la società Intesa Sanpaolo una polizza privata di assicurazione contro gli infortuni. Il 9/8/2014 subisce lesioni personali in conseguenza di un sinistro stradale e chiede al proprio assicuratore il pagamento dell’indennizzo contrattualmente previsto.
L’assicuratore rifiuta, esigendo la previa dimostrazione degli importi ricevuti a titolo di risarcimento dall’assicuratore della R.C.A. del responsabile del sinistro.
Il Tribunale ordina alla vittima il deposito della documentazione riguardante la richiesta di risarcimento avanzata in ambito R.C.A. e la conseguente pratica di gestione del sinistro ed in particolare mediante produzione della comunicazione di chiusura della pratica del sinistro con specifica dell’importo liquidato all’attrice. L’ordine rimase inevaso. Ergo, con sentenza 5/2/2019 n. 60 il Tribunale rigetta la domanda e anche la Corte d’appello di Milano rigetta il gravame.
La Corte d’appello, in sintesi, ha ritenuto:
- l’indennizzo dovuto dall’assicuratore contro gli infortuni non mortali e il risarcimento del danno alla persona assolvono un’identica funzione risarcitoria e non possono cumularsi.
- la censura con cui la vittima aveva denunciato l’inversione dell’onere della prova era irrilevante. Infatti, se è vero che è onere del debitore provare il fatto modificativo della pretesa attorea, nel caso di specie l’attrice non aveva provato l’esistenza e l’entità del danno alla salute da essa subìto.
- non era possibile disporre una CTU per accertare i postumi patiti dalla donna, dal momento che non vi era in atti alcuna documentazione clinica da sottoporre al CTU, di talché una eventuale consulenza avrebbe avuto inammissibili finalità esplorative.
L’intervento della Corte di Cassazione
Deduce la ricorrente che l’unico suo onere consisteva nel provare l’esistenza del contratto e l’inutile scadenza del termine di adempimento a carico dell’assicuratore; che in ogni caso la circostanza che avesse patito un infortunio non era mai stata in contestazione; che l’esistenza delle lesioni era stata documentata sin dal primo grado; che la vittima di lesioni personali non potrebbe provare i postumi se non instando affinché il giudice disponga una consulenza d’ufficio.
La censura è in parte fondata.
È nel torto la vittima quando afferma che non era suo onere provare l’esistenza del danno alla persona. L’esistenza di tale danno infatti rappresenta quel che si definisce il rischio avverato (ovvero la realizzazione del rischio in astratto, per come definito nel contratto di assicurazione), è onere dell’assicurato provare che si sia verificato un evento corrispondente al rischio descritto nella polizza.
L’assicurazione contro gli infortuni
È tuttavia corretto quando deduce che né l’esistenza del sinistro, né l’esistenza delle lesioni da esso causate erano mai state in discussione. È parimenti corretto quello che afferma la vittima quando allega che l’esistenza di postumi permanenti non potrebbe essere dimostrata altrimenti che col ricorso ad una CTU, se l’esistenza delle lesioni non è contestata: e poiché nel caso di specie non lo era, il giudice di merito non avrebbe potuto rigettare l’istanza di consulenza d’ufficio medico-legale.
Nel caso la società assicuratrice, per il fatto stesso di avere eccepito la compensatio lucri cum damno, ha per ciò solo ammesso che l’assicurata un danno l’avesse.
La sentenza impugnata ha dunque effettivamente violato sia il principio per cui il Giudice deve ritenere ammessi i fatti invocati danuna parte, quando l’altra parte abbia svolto difese incompatibili con la volontà di negarne l’esistenza; sia l’art. 115 c.p.c., per avere ritenuto necessaria di prova una circostanza non adeguatamente contestata dalla parte convenuta.
Oltre a ciò, la decisione che qui si commenta, è anche incorsa nel vizio di omesso esame d’un fatto (processuale) decisivo, rappresentato dall’esistenza in atti da una serie di documenti depositati in giudizio.
Per quanto qui di interesse, la Corte d’appello ha ritenuto di non poter disporre una CTU medico legale per l’assenza in atti di documentazione clinica, trascurando di considerare il fatto processuale dell’avvenuto deposito, sin dal primo grado, dei suddetti documenti: i quali integrano, appunto, quella stessa documentazione clinica reputata necessaria per disporre la CTU.
Il danno alla salute è stimabile in denaro
In conclusione, la S.C., riassume che il danno alla salute è stimabile in denaro: lo stabiliscono gli artt. 138 e 139 cod. ass.:
- se la lesione della salute è un danno in senso giuridico;
- se l’assicurazione contro gli infortuni ha ad oggetto la copertura di quel danno;
- se quel danno è stato eliminato in tutto od in parte dal risarcimento compiuto da chi ne è responsabile, scema in misura corrispondente l’obbligo indennitario dell’assicuratore, per l’ovvia ragione che la causa assicurativa impedisce di esigere dall’assicuratore un indennizzo per danni non esistenti o non più esistenti.
Pertanto, una volta avveratosi il rischio, qualunque risarcimento pagato all’assicurato dal terzo responsabile andrà sempre a diffalco dell’indennizzo dovuto dall’assicuratore per lo stesso fatto, quale che ne fosse la misura.
La Corte cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno