Precipita nel tombino di raccolta delle acque (Cass. civ, sez. III,  29 marzo 2023, n. 8879).

Precipita in un pozzetto di raccolta delle acque privo di copertura e posto a margine della carreggiata.

La danneggiata citava in giudizio il Comune ed il Consorzio Riunito delle Strade Vicinali chiedendo il riconoscimento della loro responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. ovvero dell’art. 2043 c.c. e  il conseguente risarcimento dei danni.

Esponeva che rientrando in macchina verso l’agriturismo ove avrebbe dovuto pernottare, dopo aver cenato fuori col marito, si avvedevano di avere oltrepassato il punto in cui avrebbero dovuto svoltare, il marito cercava di far manovra per invertire la marcia, e, a causa della strada non illuminata e del manto stradale viscido, la vettura slittava sul lato sinistro finendo con la ruota posteriore sinistra in un pozzetto privo di protezione sito al lato della strada. Essendo lo sportello del marito bloccato, la donna scendeva dalla vettura per aiutarlo nella manovra di rientro in carreggiata, e precipitava nel pozzetto lasciato aperto, riportando gravi danni alla persona.

Il Tribunale di Grosseto accoglieva la domanda e liquidava la somma di Euro 74.000,00 in favore dell’attrice. In appello, il Comune insisteva sul proprio difetto di legittimazione passiva, allegando che la strada non fosse di sua proprietà e che esso non fosse gravato di alcun obbligo di vigilanza e di manutenzione della strada stessa. Il Consorzio, invece, insisteva sul caso fortuito.

La Corte d’Appello di Firenze rigettava entrambi i gravami confermando la sentenza di primo grado.  Il Comune propone ricorso per Cassazione.

Con il primo motivo, deduce la nullità della sentenza per avere la Corte di Appello adottato una motivazione meramente apparente e comunque inconciliabile con i fatti accertati con sentenza penale n. 102/2005, passata in giudicato, del Giudice di Pace di Orbetello che aveva escluso ogni responsabilità penale del Sindaco, per non aver commesso il fatto, ed aveva assolto da ogni responsabilità lo stesso Dirigente del servizio di Polizia Municipale perché il fatto non costituiva reato, mentre aveva condannato per lesioni personali gravi il Presidente del Consorzio.

Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per avere la Corte d’Appello ritenuto di poter confermare la legittimazione passiva del Comune sulla domanda di risarcimento danni avanzata, soltanto in ragione dell’inserimento della strada sulla quale si era verificato il sinistro nell’elenco della rete viaria del Comune, e per aver ritenuto che il passaggio su di essa viene esercitato “juris servitutis pubblicae” da una collettività di persone, per cui il Comune doveva comunque esercitarne il controllo funzionale.

Le due censure sono infondate. L’efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile, di cui all’art. 654 c.p.p., postula, sotto il profilo soggettivo, la perfetta coincidenza delle parti tra i due giudizi, vale a dire che non soltanto l’imputato, ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale.

Nel caso di specie, la sentenza assolutoria non spiega alcuna efficacia di giudicato nel distinto giudizio civile risarcitorio sullo stesso episodio, perché la danneggiata non si era costituita parte civile nel giudizio penale.

Per quanto riguarda la disciplina delle strade vicinali, gli Ermellini rammentano che sussiste la responsabilità per custodia del Comune a prescindere dal fatto che esse siano di proprietà privata, purché esse siano inserite – come nella specie – tra le strade adibite a pubblico transito.

Ai fini della definizione stessa di “strada”, ciò che rileva è  la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà. È l’uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del codice della strada e la legittimazione passiva del Comune, fondata sugli obblighi di custodia correlati al controllo del territorio e alla tutela della sicurezza ed incolumità dei fruitori delle strade di uso pubblico, in relazione agli eventuali danni riportati dagli utenti della strada.

Oltre a ciò, la Suprema Corte evidenzia che la responsabilità del Comune ben può concorrere con quella del Consorzio dei comproprietari dei fondi viciniori, poichè fondata sul concorrente obbligo di custodia esistente in capo ai proprietari del bene.

Confermata, quindi,  la condanna del Comune e del Consorzio a risarcire la donna e il ricorso viene respinto.

Avv. Emanuela Foligno

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