Pulizia del nastro trasportatore e lesioni personali del lavoratore (Cassazione penale, sez. IV, dep. 14/06/2022, n.23137).
Pulizia del nastro trasportatore e delitto di lesioni personali colpose in danno del datore di lavoro di fatto e del preposto.
La Corte d’Appello di Milano, ha confermato la sentenza di primo grado che condannava alla sanzione pecuniaria da illecito amministrativo in relazione al delitto di lesioni personali colpose con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il lavoratore, nell’esecuzione di lavori di pulizia del nastro trasportatore, nella parte sottostante del macchinario, mentre il nastro era in movimento e non risultava protetto dalle griglie di protezione, si abbassava sotto il nastro e urtava con la testa uno dei rulli di azionamento; istintivamente portava le braccia a protezione della testa e così il braccio destro rimaneva agganciato e veniva trascinato.
Risponde del reato, il legale rappresentante della società datrice di lavoro che affidava in appalto ad altra società la selezione dei rifiuti per la raccolta differenziata. Tale società subappaltava l’esecuzione dei servizi a una società cooperativa, da quale formalmente dipendeva il lavoratore infortunato.
A prescindere dal dato formale, secondo il Giudice, la posizione dell’infortunato era quella di dipendente di fatto della prima, con conseguente assunzione della qualità datoriale.
L’altro imputato, dipendente della subappaltatrice, risponde del reato in qualità di preposto di fatto (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19), in relazione alle disposizioni che egli avrebbe impartito all’infortunato di effettuare la pulizia del nastro al momento dell’incidente.
Gli imputati ricorrono in Cassazione rivendicando, da un lato, l’autonomia organizzativa e decisionale della subappaltante, e l’esclusione di rapporti con la stessa.
I ricorsi degli imputati vengono dichiarati inammissibili.
Quello della prima società è inammissibile, perché finalizzato a sottoporre alle valutazioni della Corte di legittimità una rilettura del materiale probatorio non consentita.
Nello specifico, il ricorso è imperniato sul tentativo di escludere la posizione datoriale, assumendone le conseguenti responsabilità e i conseguenti obblighi giuridici nei confronti dell’infortunato.
Tuttavia, osserva la Suprema Corte, il percorso argomentativo della Corte d’Appello risulta logico e corretto laddove ha considerato che la manodopera fornita dalla subappaltatrice era effettivamente diretta dalla prima società. In tal senso l’imputato è da considerarsi datore di lavoro di fatto e aveva il preciso obbligo di impedire che l’operaio venisse a contatto con l’apparecchiatura pericolosa nel corso della pulizia del nastro della stessa.
A non migliore sorte è destinato il ricorso del preposto in quanto finalizzato alla contestazione della qualità di preposto. In sostanza, evidenziano gli Ermellini, l’imputato era in una condizione di interposizione fra le disposizioni date dalla prima società e i soci lavoratori della subappaltatrice cui trasmetteva disposizioni, così assumendo la veste di “preposto di fatto”.
Infine, il contributo causale delle disposizioni date dal “preposto di fatto” è del tutto evidente ove si consideri che lo stesso ordinava all’infortunato di recarsi a effettuare la pulizia del nastro trasportatore nella parte sottostante, e in quella giornata il macchinario doveva essere in movimento, oltreché situato in un’area che normalmente interdetta ai lavoratori qualora l’impianto fosse attivo.
Conclusivamente, la Suprema Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
La redazione giuridica
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