Respinto il ricorso di un ex lavoratore che chiedeva l’aggravamento dei postumi invalidanti derivati da un infortunio in relazione al quadro artrosico degenerativo evoluto del rachide lombosacrale

La Cassazione, con l’ordinanza n. 40313/2021, si è pronunciata sul ricorso di un cittadino che si era visto respingere, dai Giudici del merito, la domanda di aggravamento dei postumi invalidanti derivati dall’infortunio occorso il 3.10.2005. La Corte territoriale, disposta una nuova c.t.u. e in base all’esito della stessa, aveva ritenuto che “il quadro artrosico degenerativo evoluto del rachide lombosacrale non potesse essere correlato, anche solo in termini concausali, con l’incidente dell’ottobre 2005; che quest’ultimo, “se pur in grado di esacerbare la sintomatologia dolorosa temporanea in ragione delle importanti preesistenze del soggetto non (avesse) aggravato la condizione patologica, riconducibile invece alla progressione della patologia degenerativa del rachide”.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente censurava la sentenza d’appello nella parte in cui, aderendo alle conclusioni del consulente medico-legale d’ufficio, aveva negato l’esistenza di postumi permanenti derivati dall’infortunio dell’ottobre 2005, benché quest’ultimo avesse provocato una inabilità temporanea di 94 giorni, riconosciuta con sentenza n. 539 del 2010. Aggiungeva, poi, che i postumi permanenti erano stati esclusi in base ad una valutazione medico legale eseguita in appello dopo circa 14 anni dall’incidente, quando il paziente era ormai ottantenne (nato nel 1939), mentre sarebbe stato necessario fare riferimento alle condizioni di salute esistenti all’epoca dei fatti.

Gli Eremllini, tuttavia, hanno ritenuto inammissibile il ricorso precisando che il vizio denunciabile in sede di legittimità è ravvisabile solo in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, pretendendo da questa Corte un sindacato di merito inammissibile. Nel caso in esame, le censure mosse dall’attore si esaurivano, per l’appunto, nell’espressione di un mero dissenso diagnostico. Da lì il rigetto del ricorso.

La redazione giuridica

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