Rendita Inail riconosciuta nella misura del 15% al lavoratore colpito da condotta mobbizzante (Corte Appello Roma, sez. lav., 28/02/2022, n.656).
Rendita Inail in capitale nella misura del 15% per accertata esistenza di una condotta mobbizzante è quanto deciso dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Roma.
L’INAIL proponeva tempestivo appello avverso tale sentenza che accertava l’esistenza di una condotta mobbizzante posta in essere da parte datoriale ai danni della lavoratrice e condannava l’Inail a corrispondere alla stessa ‘l’indennizzo in capitale nella misura del 15%, calcolato secondo le previsioni dell’art. 13 del D.Lgs. n. 38/2000, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, come per legge’, nonché al pagamento delle spese di lite e di CTU.
L’Istituto, a sostegno dell’appello, censura la decisione di primo grado per:
– non aver accolto l’eccezione di inammissibilità (per genericità) del ricorso di primo grado, non indicando in modo sufficientemente chiaro su quali fatti ed elementi di diritto fosse fondata la domanda di rendita Inail, e non essendo stata fornita alcuna prova delle denunciate condotte mobbizzanti;
– non aver considerato che l’Istituto aveva contestato le mansioni che la lavoratrice aveva sostenuto di aver svolto e che quest’ultima non aveva fornito alcuna prova della fondatezza delle proprie doglianze;
– aver ritenuto, in conformità con quanto affermato dal CTU, la sussistenza di un nesso causale tra la dedotta nocività del comportamento datoriale e il danno lamentato dalla ricorrente sulla sola base di dichiarazioni della medesima, prive di idoneo riscontro probatorio;
– aver comunque valutato, alla stregua delle risultanze della CTU, il danno lamentato dalla ricorrente nella misura del 15%, e conseguente indennizzo di rendita Inail in capitale, sproporzionata rispetto alla lieve sindrome ansiosa repertata in sede di visita psichiatrica dall’Istituto.
Per quanto qui di interesse, circa le doglianze dell’Istituto sulla assenza di un nesso causale tra la nocività del comportamento datoriale e il danno lamentato, la Corte dispone prova testimoniale.
Quanto alla censura relativa al valore attribuito dal Giudice di prime cure dalla non contestazione, da parte dell’INAIL, della ricostruzione dei fatti fornita dalla ricorrente, viene osservato che effettivamente l’Istituto si era, in quella sede, limitato a contestare, siccome ‘non provata e del tutto infondata, la domanda, riportandosi alle conclusioni rassegnate nelle note medico legali in atti’, aggiungendo poi che ‘i fatti evidenziati sono assolutamente scarni e non in grado, di per sé, di provocare una malattia di tipo depressivo’, come pure che, in presenza di una malattia non tabellata, ‘l’invocata prova per testimoni non può fornire il supporto alla dimostrazione della eziologia professionale’.
L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, di cui agli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416 c.p.c., che è tipico delle vicende processuali.
Pertanto, non potendosi attribuire alla condotta processuale dell’INAIL alcun valore di implicito riconoscimento della fondatezza dell’avversa prospettazione fattuale, non v’è dubbio che, in presenza di una malattia pacificamente non tabellata, gravasse su parte ricorrente l’onere di fornire la prova del dedotto nesso causale tra l’inadempimento datoriale rispetto agli obblighi di assicurare la tutela dell’integrità psicofisica del prestatore sul posto di lavoro e la patologia lamentata.
La Suprema Corte è infatti costante nell’affermare che “In tema di malattia professionale, la tutela assicurativa INAIL va estesa ad ogni forma di tecnopatia, fisica o psichica, che possa ritenersi conseguenza dell’attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l’organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi specificamente indicati in tabella, dovendo il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata”.
L’esame testimoniale ha dimostrato l’infondatezza delle doglianze della lavoratrice secondo cui, a causa della copertura di cariche sindacali e del godimento di permessi lavorativi ex lege 104/1992, sarebbe stata “vittima di molteplici e discriminatorie sanzioni disciplinari e di comportamenti discriminatori in genere”, posti alla base del disturbo depressivo ai fini del riconoscimento della rendita Inail.
Da escludersi la natura ritorsiva e discriminatoria di tali contestazioni disciplinari, non essendo stata la prima impugnata ed essendosi tutti gli altri giudizi di impugnazione stragiudiziale conclusi con l’accertamento della fondatezza delle contestazioni e con l’irrogazione di sanzioni.
Egualmente riguardo alle doglianze di essere stata costretta per giorni ad attendere all’interno degli spogliatoi che le venisse comunicato dove poter espletare la propria prestazione lavorativa.
Quanto, infine, alla doglianza secondo cui parte datoriale l’avrebbe screditata con finalità deterrenti a fronte della sua titubanza nel sollevare pesi e minacciata di sanzioni disciplinari qualora non avesse trasportato sacchi di immondizia del peso di 6/7 chili (malgrado specifico certificato del medico del lavoro del 15.12.2014 prescrivesse la ‘idoneità alla mansione con la seguente limitazione: evitare di sollevare pesi’), deve innanzi tutto evidenziarsi che nessuna delle testi ha confermato che la ricorrente fosse stata in tali occasioni screditata o peggio minacciata.
Per tali ragioni, la sentenza di primo grado viene integralmente riformata e tutte le domande ivi proposte dalla lavoratrice rigettate, ivi compresa la rendita Inail riconosciuta dal primo Giudice.
Avv. Emanuela Foligno
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