Responsabilità consulente: la prova della negligenza non basta

0
responsabilità

Non basta provare la negligenza o imperizia del consulente per poter affermare la sua responsabilità professionale; al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti è necessario dimostrare il pregiudizio inteso come perdita di utilità futura

La responsabilità del professionista

La responsabilità risarcitoria del professionista per inadempimento del contratto d’opera professionale consistente nell’avere introdotto tardivamente una causa esige non soltanto la dimostrazione della negligenza/imperizia nel non avere rispettato i termini legali dell’azione, ma altresì (Cass. 31.05.2018, n. 13. 769, nonché Id. 14.05.2013, n. 11.548 e Id., 22.11.2004, n. 22026) la prova del pregiudizio come perdita dell’utilità futura che sarebbe altrimenti derivata al cliente dall’esito favorevole del processo. Tale prova del danno-conseguenza, come effetto dell’illecito contrattuale del professionista, coincide con la dimostrazione di un accoglimento ragionevolmente certo od altamente probabile della domanda giudiziale, da cui sarebbe conseguita per il cliente l’utilità sperata (chance).

La responsabilità per danni da inadempimento postula, infatti, non solo la violazione degli obblighi contrattuali, ma anche la sussistenza in capo al creditore di un danno che sia conseguenza diretta ed immediata (art. 1223 c.c.) dell’inadempienza dell’obbligato.

È quanto ha affermato il Tribunale di Alessandria (sentenza n. 284/2020) in una recente sentenza.

La controversia aveva avuto origine a seguito della notifica da parte dell’Agenzia delle Entrate di un avviso di accertamento a carico di una S.r.l. per un importo di € 713.347, comprensivi di imposta evasa (omessa dichiarazione IVA e IRAP e dichiarazione IRES in bianco per il 2011), interessi e sanzioni.

L’attore si era rivolto, pertanto, allo studio professionale del commercialista convenuto in giudizio il quale, con proprio parere gli suggeriva la presentazione di un ricorso alla Commissione tributaria. Dopo avergli conferito l’incarico e firmato la procura per il ricorso, l’attore gli pagava il compenso di 1.006,72 euro.

Senonché qualche mese più tardi il consulente lo avvertiva che avrebbe, con tutta probabilità, eccepito in udienza la tardività del ricorso.

Ed in effetti, all’esito del primo grado di giudizio, la Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria dichiarava inammissibile il ricorso per tardività, con riguardo all’avviso di accertamento impugnato.

La sentenza passava in giudicato e, a seguito di ciò, veniva notificata all’attore una cartella esattoriale a cura dell’Agenzia delle Entrate per l’importo di 486.714,10 euro, seguita dall’iscrizione di ipoteca sulla quota di 1/2 sull’immobile di proprietà dell’azienda e dall’avvio di un’esecuzione presso terzi sui suoi conti correnti.

Assumendo la responsabilità professionale del consulente per avere (a) non rispettato il termine di legge per impugnare l’avviso di accertamento e (b) proposto tardivamente il ricorso pur consapevole che l’inammissibilità dello stesso sarebbe stata eccepita dall’Amministrazione resistente, l’attore aveva chiesto al Tribunale di Alessandria, la condanna di quest’ultimo al risarcimento di tutti i danni patiti.

La decisione

Ma la domanda non è stata accolta. La difesa attrice si era essenzialmente concentrata nel cercare di provare che il professionista convenuto in giudizio avesse omesso di notificare il ricorso tributario nei termini di legge, pur avendo ricevuto per tempo il relativo incarico.

Ora, – ha affermato il giudice piemontese- per poter pervenire ad un’affermazione di responsabilità risarcitoria del professionista convenuto, occorre concludere, con una valutazione prognostica, che il ricorso di cui si discute sarebbe stato sicuramente accolto, od avrebbe avuto un’elevata probabilità di successo dinanzi al Giudice tributario (Cass. 13.769/2018). Invero, gli elementi acquisiti al giudizio non avevano consentito in alcun modo di pervenire ad un tale giudizio: non erano stati forniti elementi per dire che l’accertamento induttivo del reddito della società condotto dall’Agenzia delle Entrate non fosse fondato su indizi gravi, precisi e concordanti, agli effetti di quanto richiesto dall’art. 41, 2° co., D.P.R. 600/73.

Per queste ragioni la domanda di risarcimento è stata respinta.

Avv. Sabrina Caporale

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE: LA MANCATA PROVA DEL DANNO SALVA L’AVVOCATO

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui