Il riconoscimento del figlio può essere impugnato solo nel rispetto del diritto all’identità personale dello stesso e dei legami affettivi instaurati all’interno della famiglia

Il soggetto che riconosce falsamente il figlio naturale può poi impugnare l’atto, ma nel rispetto del diritto all’identità personale del figlio e dei legami affettivi instaurati da quest’ultimo, all’interno della famiglia. Tale è il principio sancito dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. Sentenza n.127 del 25 giugno  2020), sollecitata dalla Corte d’Appello di Torino. La Consulta con la decisione qui esaminata ritiene infondata la questione di legittimità costituzionale all’articolo 263 c.c., sollevata dalla Corte di merito di Torino nella parte in cui non esclude la legittimazione a impugnare il riconoscimento del figlio da parte di chi lo abbia effettuato nella consapevolezza della sua falsità.

La vicenda trae origine dalla questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso di un giudizio di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità.

Il Giudice di merito evidenziava l’illegittimità della norma nella parte in cui non esclude la legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio in capo al soggetto che abbia compiuto tale atto nella consapevolezza del difetto di veridicità.

Denunciava inoltre che la disposizione censurata sarebbe in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione per l’irragionevole disparità di trattamento tra chi abbia consapevolmente effettuato il riconoscimento non veritiero e chi abbia prestato il consenso alla fecondazione assistita eterologa: mentre, nel primo caso, l’art. 263 cod. civ. consente all’autore del riconoscimento di proporre l’impugnazione per difetto di veridicità, l’art. 9, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 preclude tale impugnazione a chi abbia prestato consenso al concepimento mediante fecondazione medicalmente assistita.

La Corte Costituzionale ritiene infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ., eccepita con riferimento all’art. 3 Cost. ed all’asserita disparità di trattamento con l’art. 9, comma 1, della legge n. 40 del 2004, in quanto le considerazioni del Giudice rimettente riguardano la presunta affinità della situazione dell’autore del riconoscimento consapevolmente falso rispetto a quella di chi abbia prestato il consenso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

L’art. 9 della legge n. 40 del 2004 preclude espressamente l’impugnazione di cui all’art. 263 cod. civ. – oltre che l’azione di disconoscimento della paternità, nei casi previsti dall’art. 235, primo comma, numeri 1) e 2), cod. civ. – al coniuge o al convivente che abbia prestato il proprio consenso a tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Egualmente ritenuta infondata la violazione dell’art. 2 Cost.

La necessità di valutare l’interesse alla conservazione della condizione dell’identità acquisita è già contenuta nell’art. 263 c.c. e si tratta di una valutazione comparativa che attiene ai presupposti per l’accoglimento della domanda proposta e non alla legittimazione dell’autore del riconoscimento non veritiero.

Pertanto, “nel caso dell’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso da parte del suo autore, il bilanciamento tra l’interesse del soggetto riconosciuto ed il favore per la verità del rapporto di filiazione non può costituire il risultato di una valutazione astratta e predeterminata e non può implicare di per sè il sacrificio dell’uno in nome dell’altro”.

Dunque il Giudice dovrà bilanciare gli interessi delle parti convolte alla luce della concreta situazione esaminando tutte le variabili del caso sotteso alla domanda di rimozione dello status.

Andranno dunque considerare tutte le variabili, tra cui rientra il legame del soggetto riconosciuto con l’altro genitore, la possibilità di instaurare tale legame con il genitore biologico, la durata del rapporto di filiazione ed il consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento, nonché l’idoneità dell’autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore.

Per tali ragioni la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. sollevata dalla Corte d’appello di Torino.

Avv. Emanuela Foligno

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