In materia di rideterminazione degli obblighi di mantenimento dei figli minori, il giudice della separazione non è tenuto a rispettare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato

La Cassazione ha confermato la sentenza di rideterminazione della somma disposta a carico dell’ex coniuge dopo la morte del suocero.

La vicenda

Il giudice della separazione aveva disposto l’affidamento della figlia alla madre e l’obbligo di versamento a suo carico di un assegno mensile di 2.000 euro, di cui 800 a titolo di mantenimento della moglie e 1.200 quale contributo per il mantenimento della figlia minore, oltre alle spese straordinarie da sostenere nel suo interesse nella misura del 70%.

Il giudice adito aveva anche disposto una serie di interventi programmati con i Servizi sociali del Comune di residenza, al fine di fornire supporto psicologico al nucleo familiare e soprattutto, per consentire alla figlia un buon reinserimento nelle attività extrascolastiche e nel rapporto con i coetanei.

Ma l’uomo, padre della piccola e marito della donna convenuta in giudizio, presentava appello contro il predetto decreto chiedendo la conferma delle statuizioni economiche già concordate fra le parti in sede di separazione consensuale omologata.

Secondo gli accordi, infatti, egli avrebbe dovuto corrispondere un assegno perequativo destinato al mantenimento della figlia di 300 euro mensili oltre alle spese straordinarie; nessun versamento in favore della moglie; la conferma dell’affidamento condiviso ad entrambi i genitori con previsione del diritto del padre di vedere la figlia senza la madre, salvo diverso accordi, durante la settimana e durante i periodi festivi in giorni prefissati.

Inoltre chiedeva la condanna al risarcimento dei danni per la violazione, da parte della madre, degli obblighi concernenti l’esercizio del suo diritto di visita e in caso di opposizione di quest’ultima, che il giudice disponesse il collocamento della figlia presso di sé.

Ebbene, i giudici della corte d’appello adita hanno respinto il reclamo proposto dall’uomo e confermato le statuizioni economiche già previste a suo carico dal primo giudice.

In effetti – rilevava la corte giudicante – dopo la morte del suocero le condizioni economiche della moglie erano di gran lunga peggiorate, non potendo ella più fare affidamento sul consistente aiuto economico che il padre elargiva in favore della figlia, nonché sua nipote.

D’altra parte, sebbene ella fosse in possesso di titoli di studio (laurea e abilitazione alla attività di giornalista), che in astratto potevano garantirle un reddito sufficiente alle sue esigenze di vita, la realtà era ben altra … ed in effetti, ella all’età di cinquanta anni non aveva mai maturato alcuna esperienza lavorativa.

Il ricorso per Cassazione

La vicenda dei due coniugi separati e della loro figlia giungeva dunque sino ai giudici di Piazza Cavour.

A contestare la sentenza pronunciata dai giudici dell’appello era, ancora una volta, il coniuge obbligato all’assegno di mantenimento.

Ma anche in ultima istanza, i giudici della Cassazione hanno confermato la decisione impugnata, adducendo che, in effetti, la morte del suocero aveva rappresentato una circostanza sopravvenuta che ben giustificava il mutamento delle statuizioni civili in favore della moglie e della figlia, dal momento che il suo decesso aveva portato ad un rilevante cambiamento delle loro condizioni economiche, venendo meno la loro principale fonte di sostentamento economico.

Un aspetto interessante che il ricorrente fa oggetto di impugnazione è la commessa violazione del principio di corrispondenza tra domanda di parte e statuizione del giudice della separazione. Ed in effetti, col ricorso introduttivo (ex art. 710 c.p.c.), la donna aveva chiesto che le fosse corrisposta la somma di 1.800 euro mensili, mentre il tribunale di primo grado l’aveva liquidata in 2.000 euro mensili.

Ebbene, la Cassazione ricorda che in materia di determinazione degli obblighi di mantenimento dei figli minorenni, vale il principio di diritto per cui il giudice non è soggetto al principio della domanda di parte (Cass. n. 3908/2009; n. 10780/1996).

La redazione giuridica

 

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