A seguito di una caduta accidentale, la vittima riporta frattura scomposta del femore inferiore destro e lamenta una prematura e negligente rimozione dei mezzi di osteosintesi. Tuttavia, entrambi i gradi di merito respingono la domanda di responsabilità e la Cassazione conferma (Cassazione civile sez. III, 19/11/2024, n.29724).
I fatti
La paziente in data 19 dicembre 1998 a seguito di caduta accidentale, aveva riportato una “frattura scomposta del 3 inferiore femore dx”, trattata chirurgicamente presso il Presidio Ospedaliero di Paola, tramite applicazione di mezzi di osteosintesi (lama-placca). Alla dimissione era seguito un periodo di riabilitazione durante il quale aveva registrato e lamentato deficit articolare del ginocchio destro e “per tale motivo in data 11 gennaio 2000 veniva nuovamente ricoverata” presso il medesimo presidio ospedaliero, per la rimozione dei mezzi di osteosintesi, “per intolleranza agli stessi”.
Tuttavia “tale rimozione, secondo la paziente, veniva effettuata prematuramente e in modo imprudente e negligente, poiché ciò comportava la non completa guarigione, con conseguente nuova frattura spontanea dei medesimi organi a distanza di circa un mese dalla citata rimozione”.
Chiamata in giudizio è l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, per inadeguata e negligente prestazione professionale svolta presso l’Ospedale di Paola.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Cosenza rigetta la domanda per difetto di prova tra l’insorgenza o l’aggravamento della patologia conseguente all’intervento medico e il nesso di causalità tra la condotta e la patologia. Riguardo tale ultimo aspetto, il CTU aveva posto in luce la impossibilità di accertare la conseguenzialità tra la condotta medica e gli esiti residuati alla donna, anche perché questa aveva omesso di produrre la cartella clinica relativa agli interventi subiti. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 57/2021, ha rigettato l’appello, con conferma del primo grado, e la vicenda approda in Cassazione.
La paziente osserva che la Corte d’Appello, pur reputando che “la stringatezza delle conclusioni del CTU non consente né di affermare, né di escludere, la possibilità del legame causale tra rimozione e rifrattura”, non ha ritenuto riscontrabile l’illecito contestato in quanto dai dati acquisiti era risultata l’indicazione che la rimozione era stata effettuata per l’intolleranza manifestatasi ai mezzi di sintesi.
L’intervento della Cassazione
Censura quanto affermato dalla Corte territoriale, secondo cui, “come già rimarcato dal primo giudice, il nesso causale risulta incerto poiché, seppure la rimozione del mezzo di sintesi registra la rifrattura come complicanza a seconda del grado di consolidamento, tuttavia ciò di norma si verifica per la temporanea, maggiore fragilità dell’osso… non assecondata da prudenziali comportamenti del soggetto interessato. Qui non è dato capire quante e quali di quelle condizioni fossero presenti ma, in ogni caso, anche a ritenere che il nesso tra rimozione e rifrattura sia rinvenibile, non può dirsi che tale comportamento sia improntato a colpa, trovandosi la paziente in una condizione, desumibile senza smentite dallo stato degli atti, di intolleranza ai mezzi di sintesi”.
Quindi la ricorrente ritiene che con tali argomentazioni la Corte d’Appello avrebbe prima dubitato delle conclusioni del CTU e poi escluso illogicamente ed immotivatamente la responsabilità dell’Ospedale di Paola ritenendo che la paziente si trovava in condizione di intolleranza ai mezzi di sintesi.
Quanto lamentato viene disatteso dalla S.C. che osserva come la decisione di appello abbia ben motivato le ragioni sottese alla declaratoria di infondatezza della domanda e risulti totalmente allineata ai principi in tema di accertamento del nesso causale, richiamando in linea generale la giurisprudenza di legittimità che, a partire dagli ultimi anni del 2010, ha messo a fuoco la sussistenza di un “duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle”, nonché i criteri di riparto degli oneri probatori tra debitore e creditore in materia (Cass. Sez. 3, 11/11/2019, n. 28991 e n. 28992; Cass. Sez. 3, 23/02/2023 n. 5632; v. Cass. Sez. 3, 26/07/2017 n. 18392).
Insussistenza del nesso causale
La Corte di appello ha affermato, inoltre, la insussistenza dell’elemento della condotta colpevole nell’intervento di rimozione degli elementi di sintesi e ha ricostruito cronologicamente in modo adeguato e coerente la vicenda in esame e spiegato le ragioni per cui la domanda risarcitoria non è fondata, motivazione completa e non contraddittoria.
Difatti, dopo aver esaminato quanto risultante dalla documentazione acquisita e quanto riportato dal CTU in prime cure da cui era emerso che “i protocolli scientifici indicano come per la frattura subita dalla paziente nel dicembre 1998 -frattura epifisi distale femore destro – “era appropriato ed indicato, secondo linee guida e protocolli d’epoca, procedere con intervento di riduzione e osteosintesi tramite lama/placca”, per come effettuato dai sanitari della struttura ospedaliera di Paola…
I medici hanno effettuato correttamente l’intervento di rimozione dei mezzi di sintesi e il decorso post operatorio è stato regolare. Emerge altresì che il ricovero è avvenuto non per programmata rimozione della placca/viti a suo tempo apposta, ma in base ad una precisa diagnosi di ingresso (“intolleranza ai mezzi di sintesi”), confermata in sede di dimissione, oltre che riscontrata anche nel corso dell’intervento operatorio (dalla cartella clinica diario del 13 gennaio 2000: “Intervento: Intolleranza ai mezzi di sintesi in paziente con pregressa frattura di femore. Rimozione sintesi (Lama-Placca). Controllo clinico post-operatorio”).
Il CTU ha anche rilevato che agli atti non v’è alcun dato che consenta di escludere che vi sia stata una intolleranza ai mezzi di sintesi, ribadendo più volte che “gli atti non consentono affatto di affermare la intempestività e irragionevolezza della rimozione” .
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso.
Avv. Emanuela Foligno