Danno da lucro cessante e prova idonea a dimostrarlo

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Condannato per responsabilità sanitaria dalla Corte di appello di Milano al pagamento di circa centomila euro l’Istituto Clinico Humanitas Mirasole. La Cassazione ribadisce quale prova sia idonea a dimostrare il danno da lucro cessante (Cassazione civile, sez. III, 20/11/2024, n. 29837).

L’Istituto Clinico e i due medici sono stati condannati al pagamento dell’importo di 23.000 euro circa in favore della paziente a titolo di danno non patrimoniale e di 78.000 euro circa titolo di risarcimento del danno patrimoniale, con condanna della danneggiata a restituire quanto ricevuto in eccedenza rispetto agli importi indicati a seguito della pronuncia favorevole di primo grado.

La vicenda

La donna, nel 2012, si sottoponeva a controlli specialistici e a una biopsia chirurgica all’esito della quale si rilevava la presenza di un focolaio di neoplasia al seno. I medici dell’Humanitas le consigliavano di sottoporsi a mastectomia di entrambe le mammelle con ricostruzione, cui la donna si sottoponeva.

Nel 2015 agiva in giudizio nei confronti della struttura stessa e dei due medici che l’avevano seguita, allegando la non corretta esecuzione dell’intervento, in particolare l’insorgere di una infezione che le avrebbe comportato ulteriori complicanze per mesi, causandole sofferenze personali, pregiudizio estetico e una incapacità ad attendere le proprie abituali occupazioni, personali e professionali, prolungatasi per diversi mesi, chiedendo il risarcimento di tutti i danni subiti.

Il Tribunale di Milano accertava la responsabilità dell’Istituto e di entrambi i medici condannandoli in solido a corrispondere la somma complessiva di 113.540 euro oltre le spese.

Successivamente, la Corte d’Appello, dapprima invitava le parti a una soluzione conciliativa, quindi accoglieva in parte l’appello dei soccombenti ridefinendo gli importi dovuti. In particolare, riduceva l’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno biologico, ritenendo che il danno estetico dovesse essere risarcito attraverso una personalizzazione del danno biologico, e non attraverso un aumento della percentuale di invalidità da porre alla base del calcolo. Applicava di conseguenza, ai fini della liquidazione del danno biologico riportato ad una percentuale di invalidità del 9%, le tabelle previste dal CdA anziché quelle predisposte dal Tribunale di Milano.

Danno patrimoniale e danno da lucro cessante

Quanto al danno patrimoniale patito dalla appellata, conduttrice televisiva, respingeva invece l’appello, reputando che fosse stato correttamente quantificato in primo grado il danno da lucro cessante sulla base delle dichiarazioni dei redditi prodotte dalla danneggiata, che mostravano una chiara flessione reddituale nell’anno successivo all’operazione.

L’Istituto e uno dei due medici denunciano alla Corte di Cassazione l’errore di diritto nel liquidare il danno patrimoniale da lucro cessante.

La censura concerne, dunque, solo il riconoscimento e la quantificazione del danno patrimoniale da lucro cessante in favore della paziente nella misura già rivalutata di 69.350, oggetto del terzo motivo d’appello, rigettato.

L’intervento della Cassazione

I ricorrenti sostengono che la donna non avrebbe dato alcuna prova del danno subito e della riconducibilità eziologica della propria contrazione patrimoniale nell’anno successivo agli interventi chirurgici e ai successivi trattamenti medici che per mesi la tenevano lontana dall’attività lavorativa di conduttrice televisiva. Infatti essa si era limitata a produrre a sostegno della propria domanda esclusivamente le dichiarazioni dei redditi degli anni interessati, in cui si evidenziava effettivamente una flessione nelle entrate per l’anno successivo senza null’altro provare.
Ergo, secondo la tesi dei ricorrenti, non sarebbero stati provati i proventi a cui la donna avrebbe rinunciato, i contratti che non avrebbe potuto onorare, i programmi televisivi che non avrebbe potuto condurre. Considerando la variabilità della richiesta per i personaggi televisivi, i ricorrenti sostengono che se davvero le fosse stata affidata la conduzione di programmi televisivi, la produzione ne avrebbe rinviato la programmazione, aspettando per qualche mese che si ristabilisse, e che comunque la conduttrice avrebbe dovuto provare quanto meno l’esistenza di concrete proposte.

La censura viene rigettata

Ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa temporanea, i dati risultanti dalle dichiarazioni dei redditi, in particolare il reddito lordo d’impresa, sono elementi di prova liberamente valutabili dal Giudice nell’ambito della valutazione complessiva della situazione del danneggiato. E, come tali, materia di un accertamento in fatto non censurabile in Cassazione se dotata, come in questo caso, di motivazione non priva di logica e non intimamente contraddittoria. La Cassazione ricorda che ai fini della quantificazione del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore autonomo, ciò che rileva è il reddito “dichiarato”.

Le dichiarazioni dei redditi rivestono una particolare rilevanza non ignorabile

Il richiamo al reddito risultante dalle dichiarazioni dei redditi è infatti nella legge all’art. 137 D.Lgs. n. 209 del 2005 che prevede che: “Nel caso di danno alla persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni e, per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall’apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro ai sensi delle norme di legge”.

Pertanto, le dichiarazioni dei redditi rivestono una particolare rilevanza non ignorabile, perché prese in considerazione espressamente dalla legge come idoneo parametro di riferimento per la quantificazione del danno, ed anche perché autodichiarazioni idonee a vincolare il dichiarante anche verso l’erario.

La danneggiata ha fornito idonea prova del proprio reddito e della sua contrazione nel periodo in considerazione, ricadeva sull’Istituto e sui Medici l’onere di fornire la prova contraria, ossia che la contrazione reddituale nel periodo immediatamente successivo alla operazione cui si sottopose la signora non fosse da considerarsi in rapporto causale con l’incapacità temporanea di attendere alle proprie attività abituali causatale dall’errata esecuzione dell’intervento, ma derivante da altra causa del tutto autonoma, quale una contrazione di popolarità della signora.

Avv. Emanuela Foligno

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