L’11/03/15, intorno alle 22:00, la vittima stava percorrendo in auto la strada in località “Passo della Sentinella” nel Comune di San Rufo, accompagnata dal figlio, quando si è scontrata con un cinghiale di grandi dimensioni. L’impatto ha causato gravi danni alla parte anteriore sinistra del veicolo, una Fiat Punto.
Il Giudice di Pace di Polla (sent. il 15/02/16) accoglie la domanda risarcitoria dell’automobilista e condanna al pagamento in favore di parte attrice della somma di 1.980,00 euro a titolo di risarcimento.
La sentenza viene appellata dinanzi al Tribunale di Lagonegro.
Il Tribunale di Lagonegro e il valore della causa
Il Tribunale osserva in primis che, nel caso di specie, il valore della causa è inferiore al limite di valore di cui all’art. 113, secondo comma, c.p.c. e la causa non attiene a rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c.
Inoltre, l’appellante, nel formulare l’impugnazione, non ha specificamente individuato eventuali principi regolatori della materia che sarebbero stati violati, né come la regola equitativa individuata dal Giudice di Pace sia giuridicamente errata.
Ergo, l’unico motivo di appello esaminabile, in quanto relativo alla violazione di una norma sul procedimento, è quello relativo al difetto di legittimazione passiva.
La legittimazione passiva nelle azioni di risarcimento per danni da fauna selvatica
Il Tribunale condivide l’ormai consolidato principio della Corte di Cassazione secondo cui: “Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione in quanto titolare della normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione può rivalersi nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno” (tra le numerose: Cass. Sez. III, Sent. n. 7969/2020).
Anche di recente, la Suprema Corte ha confermato il principio, anch’esso da considerarsi del tutto consolidato, secondo cui “Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c., la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione.”
Motivazione del rigetto dell’Appello
I restanti motivi di appello, sostanziandosi nella contestazione dell’infondatezza della domanda proposta in primo grado, in assenza di indicazione specifica dei principi regolatori della materia eventualmente violati, vengono ritenuti inammissibili.
Da aggiungersi che il Tribunale osserva che i motivi indicati al punto 2) dell’atto di appello, che eccepiscono la totale infondatezza in fatto ed in diritto del danneggiato, per carenza probatoria dei fatti costitutivi della domanda, adducendo che l’appellato non avrebbe fornito alcuna prova in relazione alla condotta prudente nella guida del suo veicolo, sono stati dal Giudice di primo grado trattati ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Ad ogni modo, il Tribunale ritiene che sia sussistente un’ipotesi di responsabilità ex art. 2052 c.c. e che sul punto non sussista una violazione né del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), né del principio del divieto del ius novorum in appello stabilito dall’art. 345 c.p.c., nell’ipotesi in cui il Giudice di appello, nel rispetto dei termini della controversia delineati in primo grado, accolga la domanda sulla base di una diversa qualificazione giuridica dei fatti, già implicitamente o esplicitamente acquisiti al processo.
Applicazione dell’art. 2052 c.c. e danno da fauna selvatica
Il fatto dedotto in giudizio, ovverosia lo scontro con fauna selvatica, è rimasto immutato. Negli anni si sono registrati orientamenti giurisprudenziali divergenti, con l’applicazione dell’art. 2043 c.c. o dell’art. 2051 c.c. per l’attribuzione della responsabilità, fino alla decisione (Cass. Sez. III, Sent. n. 7969/2020) che ha cristallizzato nell’alveo dell’art. 2052 c.c. una presunzione assoluta di responsabilità a carico del proprietario della fauna selvatica, superabile soltanto con la prova liberatoria del caso fortuito.
In particolare, la Cassazione ha affermato il principio secondo il quale “I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema” (Cass. Civ. n. 19332/2023; Cass. Sez. III, Sent. n. 7969/2020).
Anche di recente la S.C. ha affermato che “Nel caso in cui si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica, trova applicazione la presunzione di responsabilità di cui all’articolo 2052 c.c.” (Cass. Civ. n. 6539/2024).
Questo significa che, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla controparte la prova liberatoria del caso fortuito.
Conclusione: rigetto dell’appello (Tribunale Lagonegro – sentenza 17 settembre 2024, n. 552)
Ebbene, il danneggiato ha pienamente provato di avere subito un danno cagionato da un animale selvatico allegando agli atti otto rilievi fotografici dell’auto danneggiata con relativo preventivo del 02/04/15 per la riparazione della stessa, oltre alla escussione del teste che ha pienamente confermato l’evento.
Conclusivamente, il Tribunale di Lagonegro rigetta l’appello.
Emanuela Foligno