Il principio di integralità del ristoro del danno non patrimoniale prevede differenti e autonome valutazioni di tutte le componenti protette dalla norma costituzionale

La congiunta attribuzione del danno biologico e della componente esistenziale costituisce una duplicazione risarcitoria, appartenendo tali categorie o voci di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.). E’ necessario compiere una autonoma valutazione con riferimento alla sofferenza interiore patita dal danneggiato in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute. Ne deriva che nella valutazione a fini risarcitori del danno alla persona, conseguente alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto, occorre considerare congiuntamente, ma in modo distinto, sia l’aspetto interiore del danno sofferto, ovvero il danno definito morale, da identificarsi con il dolore, la lesione intima come componente indefettibile del danno non patrimoniale, sia quello dinamico-relazionale, atto a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto.

Tali sono i principi ribaditi con forza dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. lav., n. 4099 del 18 febbraio 2020) .

La pronuncia in commento deriva dalla trattazione di un caso di molestie sessuali subite da una lavoratrice sul luogo di lavoro da parte di sue superiori, a seguito della quale veniva riconosciuto alla donna il risarcimento del danno non patrimoniale.

La Corte di Cassazione, nel ritenere fondato il motivo di ricorso della donna, afferma che in capo alla stessa andavano riconosciute due voci di danno.

I Giudici prendono atto che la CTU disposta in primo grado rilevava una lesione con esiti di carattere permanente, rappresentati da disturbo post traumatico da stress con stato depressivo.

Si ravvisa, dunque, una lesione di un valore  costituzionalmente protetto, ovvero una lesione del diritto alla salute, dell’integrità psico–fisica, ex art. 32 Cost. come garanzia dell’inviolabilità fisica della persona, oggetto di tutela civile con una forma di protezione successiva volta a risarcire l’effetto pregiudizievole.

Con particolare riferimento al danno non patrimoniale, di cui la danneggiata lamenta l’errata liquidazione, viene preliminarmente evidenziato che la giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 233/2003) e delle Sezioni Unite (26972/2008), ha definitivamente chiarito che la categoria del danno non patrimoniale, quale danno conseguenza, ha natura unitaria e omnicomprensiva, con riguardo sia a tutte le lesioni di interessi di rango costituzionale non valutabili economicamente, sia all’obbligo in capo al Giudice di merito di valutare tutti gli effetti pregiudizievoli della lesione del diritto alla salute peggiorativi della vita del danneggiato, nonché all’obbligo di non incorrere in duplicazioni di pregiudizi identici.

Ne deriva che nella valutazione del danno di natura non patrimoniale deve essere valutata l’incidenza-conseguenza ricadente sulla sfera morale e l’incidenza-conseguenza ricadente sul piano dinamico-relazionale del danneggiato.

In concreto, nella liquidazione il Giudice deve applicare il criterio del sistema del punto variabile, aumentando la misura del risarcimento a fronte di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e del tutto peculiari.

E, del tutto autonomamente, deve essere valutata la sofferenza interiore patita.

Deve, dunque, essere risarcito sia il danno biologico, sia il danno morale soggettivo, quale componente indefettibile del danno non patrimoniale e voce autonoma dello stesso.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la decisione e rinvia la causa alla Corte d’Appello, in diversa composizione, per l’applicazione dei principi fissati e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Questa pronunzia, al di là della particolarità del caso trattato riguardante molestie sessuali e stupro sul luogo di lavoro, evidenzia in maniera forte la sensibilità dei Giudici di legittimità nell’applicare quella valutazione “concreta” dell’evento lesivo per trasfonderla, poi, nella liquidazione del danno non patrimoniale.

E’ appunto questa quella “lettura costituzionalmente orientata” dell’art. 2059 c.c. predicata dalla celeberrima pronunzia delle SS.UU. 26972/2008.

Frequentemente, invece, si leggono decisioni di merito, che si limitano a richiamare tale pronunzia in maniera freddamente standardizzata.

Ciò comporta il rischio di sterili automatismi risarcitori.

L’enorme pregio dello sforzo compiuto dalla giurisprudenza di tratteggiare un nuovo diktat sul danno alla persona è quello di privilegiare un sistema che sia di effettiva e concreta integrale riparazione del danno.

Proprio per tale ragione è stato delineato -con apertura costituzionalmente orientata- il danno non patrimoniale quale danno conseguenza, in seno al quale sono ricompresi il danno biologico e il danno morale quali voci a sé stanti.

Ed essendo, appunto, voci a sé stanti, devono essere autonomamente vagliate dal Giudice proprio al fine di assicurare una tutela piena ed effettiva per il danneggiato.

Stiamo parlando di un equilibrio sottile.

Un equilibrio dove il Giudice, che non può svolgere duplicazioni risarcitorie, deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti.

Solo così è possibile garantire una integrale riparazione e l’autonomo risarcimento delle 2 tipologie di danno alla persona.

Avv. Emanuela Foligno

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