La paziente citava la Dental Care Advanced Varedo Odontoiatria S.r.L., chiedendone la condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito a causa dell’errato trattamento odontoiatrico cui si era sottoposta; quantificando i danni in quantificati in 11.339,60 euro. La Cassazione si esprime sulla sbagliata interpretazione della Corte di Appello circa il risarcimento per inadempimento contrattuale e la risoluzione de contratto per inadempimento.
I fatti
La paziente si era sottoposta a terapia ortodontica alle arcate superiore e inferiore per l’allineamento dei denti, ma l’incisivo laterale dx si era fratturato nel corso di una manovra eseguita dal dentista. Successivamente si era sottoposta a una terapia tricanale e, non avendo ottenuto i risultati sperati, si era sottoposta ad un bendaggio superiore. Successivamente il dentista aveva proposto di rimuovere l’apparecchiatura ortodontica fissa, nonostante non fosse stata ultimata. La paziente lamentava di aver speso la somma di 4.630 euro senza conseguire alcun risultato e di essere stata costretta a rivolgersi a un altro studio dentistico che le aveva proposto un preventivo di 3.560 euro per risolvere i suoi problemi ortodontici.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Monza, con la sentenza n. 1288/2018, riteneva la clinica responsabile per l’inadeguatezza della prestazione resa; riconosceva, quanto ai danni alla persona, la sussistenza solo di una invalidità temporanea di 40 giorni al 25% e, quanto al danno patrimoniale, accertava spese sostenute e documentate pari ad 4.630,00 euro – lo stesso l’importo corrisposto alla società convenuta per la prestazione risultata inadeguata – e 700 euro per l’intervento cui si era sottoposta. Quindi condannava complessivamente la Dental Care S.r.L. al pagamento di 5.330 euro a titolo risarcitorio, oltre alle spese di lite e di CTU.
La clinica impugna la decisione e la Corte d’Appello di Milano, investita dell’impugnazione dalla società Dental Care, con la sentenza n.4936/2019, depositata il 10/12/2019, ha ritenuto che la clinica non poteva essere condannata alla restituzione degli importi ricevuti dalla paziente in quanto non era stata svolta esplicita domanda in tal senso.
Secondo il ragionamento dei Giudici di secondo grado, la domanda della paziente non conteneva alcuna richiesta di restituzione del corrispettivo versato per le prestazioni odontoiatriche che aveva ricevuto, non essendo detta domanda compresa in quella di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, neppure implicitamente e, dunque, la clinica non poteva essere condannata alla restituzione di quanto ricevuto per le prestazioni rese.
Il giudizio di Cassazione
La paziente si rivolge alla Corte di Cassazione e lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non avendo mai la Clinica dedotto che non era stata proposta la domanda di risoluzione del contratto; pertanto, si sarebbe formato il giudicato sul capo della sentenza del Tribunale di Monza che aveva condannato l’appellante al pagamento di 5.350 euro a titolo di risarcimento del danno.
Secondo la Cassazione civile, sez. III, 29/12/2023, n.36497 i Giudici di Appello hanno enunciato una regola errata.
Il risarcimento danni per inadempimento contrattuale
La domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, giacché l’art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto.
Infatti, la causa di risarcimento danni per inadempimento contrattuale non è accessoria rispetto alla causa di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento, perché la decisione dell’una non presuppone, per correlazione logico-giuridica, la decisione dell’altra, né vi è subordinazione, essendo invece autonome tra loro. Tantomeno può dirsi che la domanda di risoluzione sia implicitamente compresa in quella risarcitoria.
È evidente che la Corte d’appello ha enunciato una regola di giudizio sbagliata, allorché ha affermato che, avendo la CTU accertato solo la sussistenza di un inadempimento contrattuale, ciò avrebbe consentito quale unica conseguenza “la risoluzione del contratto e la restituzione dei corrispettivi versati, purché ovviamente detta domanda fosse stata proposta in giudizio e fosse stata dimostrata la gravità dell’inadempimento”.
Poiché però parte attrice ha agito solo per l’accertamento della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della convenuta nella causazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali, la Clinica non può essere condannata alla restituzione di quanto già versato per inefficacia delle terapie attuate.
Pacifico l’inadempimento della Clinica, la Corte territoriale avrebbe dovuto stabilire se e quale danno alla persona e quale eventuale diminuzione patrimoniale detto inadempimento avesse comportato a fronte di quella destinata concretizzarsi in assenza dell’inadempimento; accertamento che invece è mancato, perché ha escluso che l’inadempimento consentisse alla odierna ricorrente di avvalersi della tutela risarcitoria.
L’erronea interpretazione del risarcimento per inadempimento contrattuale
L’iter logico-giuridico seguito dalla Corte d’Appello non è comprensibile perché, dopo aver affermato (erroneamente) che l’inadempimento contrattuale può giustificare, a certe condizioni, solo la domanda risolutoria che l’appellata non aveva formulato, ha aggiunto che il CTU aveva accertato un inadempimento contrattuale, esorbitante dall’oggetto del contratto, ha sostenuto che non è stato accertato alcun danno permanente alla salute della paziente inteso quale peggioramento dello stato anteriore.
Ergo, la Corte di Appello ha ritenuto erroneamente che nessun obbligo risarcitorio potesse essere posto a carico della Clinica, solo perché non era stata domandata la risoluzione del contratto e non per effetto dell’applicazione dei principi che regolano il risarcimento del danno alla salute per inadempimento di una prestazione professionale.
In altri termini, è errato ritenere che l’azione risarcitoria presupponga la domanda di risoluzione per inadempimento contrattuale, in quanto la risoluzione per inadempimento è omogenea alla tutela risarcitoria.
Ragionando in tal senso vanno tenute distinte l’azione restitutoria dall’azione risarcitoria (che devono essere oggetto di domande separate).
Conclusivamente, viene dato seguito al principio secondo cui “qualora il committente non abbia chiesto la risoluzione per inadempimento, ma solo il risarcimento dei danni, il professionista mantiene il diritto al corrispettivo della prestazione eseguita, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela”.
Pertanto, la Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, dovrà accertare se e quali conseguenze immediate e dirette abbia cagionato l’inadempimento della prestazione del professionista, sia sotto il profilo del danno alla persona, sia sotto il profilo del danno patrimoniale, considerando che il contraente non inadempiente, attraverso il riconoscimento del danno, dovrà essere posto nella stessa condizione nella quale si sarebbe trovato ove la prestazione dovutagli fosse stata esattamente eseguita.
Avv. Emanuela Foligno