Rivascolarizzazione miocardica non eseguita tempestivamente e atteggiamento attendista è quanto contestato in danno della Struttura ospedaliera (Tribunale Lecce, sez. I, 12/04/2022, n.1006).
Rivascolarizzazione miocardica (by pass) non eseguita tempestivamente con conseguente danno di perdita di chance.
Viene convenuta dagli eredi del paziente in giudizio la Struttura sanitaria di Lecce, al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti, sia iure proprio che iure hereditatis, quantificati in complessivi E 510.480,00, ove il defunto era in cura con diagnosi di cardiopatia ischemica e indicazione di intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica.
Esponevano in fatto che, in data 24.10.2012, accusando forti dolori al petto, accompagnati da pallore e sudorazione, il paziente era stato prontamente trasportato dai sanitari del 118 presso il Pronto soccorso, ivi ricoverato in Unità di terapia intensiva coronarica e sottoposto agli esami del caso; che il giorno successivo, a seguito della ricomparsa di un dolore anginoso localizzato al petto, irradiato a spalla e braccio sx, era stato immediatamente trasferito presso l’Ospedale di Brindisi, ove era stato eseguito esame coronografico che aveva evidenziato ‘SCA coraropatia ostruttiva di IVA-CX e CDX ipoplasia BBSX ipertensione arteriosa pregressa trattata con CVE dislipidemia’, suggerendo intervento di rivascolarizzazione miocardica chirurgica (bypass coronarico).
La mattina del 26.10.2012, trasportato d’urgenza presso la clinica di Lecce, era stato ricoverato nel reparto di degenza ordinaria piuttosto che in terapia intensiva, e l’intervento chirurgico, con grande stupore dei congiunti, veniva programmato per la settimana successiva. Tuttavia, due giorni dopo, in data 28.10.2012, il paziente decedeva.
Secondo gli attori, la responsabilità della Struttura è riconducibile alla condotta negligente ed imprudente del personale sanitario qualificata come ‘un atteggiamento colpevolmente attendista … che ha rappresentato il punto di non ritorno di una patologia in atto ed evolutiva che non poteva che esitare nel decesso (…) mentre una condotta alternativa differente avrebbe consentito, con probabilità medio alta di evitare l’evento morte, determinando così una importante perdita di chance di sopravvivenza, insita proprio nel beneficio che avrebbe sortito un trattamento tempestivo di rivascolarizzazione miocardica.
La domanda viene ritenuta infondata.
La responsabilità della struttura ospedaliera nei confronti del paziente sia una responsabilità di tipo contrattuale e come chiarito dalla Suprema Corte, emerge, in sostanza, un duplice ciclo causale: l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, e l’altro relativo alla possibilità di adempiere, a valle.
Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto). Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista, dunque, rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) è casualmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile (Cass. n. 18392/2017). Di conseguenza, la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Qualora, al termine dell’istruttoria, resti incerta la causa del danno o dell’impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto.
In ogni caso, l’accertamento dell’esistenza del nesso causale deve essere compiuto secondo il criterio della ‘preponderanza dell’evidenza’ o del “più probabile che non”.
Alla stregua dei principi richiamati, non vi è prova certa del danno evento dedotto, nel senso che non vi sono elementi sufficienti per affermare la riconducibilità del decesso alla condotta dei sanitari della struttura convenuta.
Secondo gli attori, l’intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica avrebbe evitato l’evento infausto. Invero, il CTU ha escluso condotte negligenti e/o imprudenti in punto di valutazione del rischio, ‘risultando corretta la valutazione del timing chirurgico sul paziente che aveva intervento di rivascolarizzazione miocardica programmato al 28/10/2012, sulla base delle linee guida internazionali del momento e delle specifiche condizioni del paziente.
Del resto, la CTU ha confermato che la morte del paziente. è sopraggiunta per tamponamento cardiaco da rottura del ventricolo destro che, come noto, costituisce una complicanza fatale e non prevedibile dell’infarto miocardico acuto. Si legge al riguardo nella relazione ‘Nulla a mio avviso può essere attribuito ai sanitari della Casa di cura in termini causali rispetto alla verificazione della rottura del ventricolo destro del paziente e quindi del suo decesso che è da considerarsi fenomeno acuto, improvviso e purtroppo catastrofico’.
Per tali ragioni viene escluso, alla luce del criterio del più probabile che non, che l’evento morte sia eziologicamente riconducibile alla condotta della Struttura convenuta.
Avv. Emanuela Foligno
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