L’uomo, condannato a liquidare alla ex tremila euro per la rottura della promessa di matrimonio, eccepiva che la decisione di non convolare a nozze fosse stata consensuale

Con l’ordinanza n. 10926/2020 la Cassazione ha respinto il ricorso di uomo condannato a risarcire i danni derivanti dalla rottura ingiustificata della promessa di matrimonio. Il ricorrente, in particolare, eccepiva che la domanda di ristoro fosse stata proposta, in violazione dell’art. 81 c.c., oltre un anno dopo la decisione di non convolare a nozze, che lui assumeva dovuta alla volontà consensuale delle parti. Inoltre, sosteneva che la decisione di non arrivare al fatidico sì era intervenuta dopo le pubblicazioni, ma almeno venti giorni prima della data fissata della cerimonia.

L’uomo esponeva che aveva progettato di unirsi in matrimonio con la controparte ma che l’unione era ostacolata dalla sua famiglia, tanto da indurlo a recedere dal proposito; tuttavia, avendo saputo che la compagna era incinta, era tornato sui suoi passi. La coppia aveva quindi fissato il luogo per il ricevimento e effettuato le pubblicazioni ma, poco dopo, a causa dei sospetti del ricorrente circa la volontà della donna di sposarsi unicamente per ragioni economiche, i due decidevano di non procedere più al rito.

Da li la citazione in giudizio da parte della mancata sposa per rottura della promessa di matrimonio.

In primo grado la domanda era stata rigettata sul presupposto che l’attrice non avesse dimostrato la tempestività della proposizione della domanda. La sentenza di appello aveva riformato quella di primo grado condannando l’uomo a pagare circa tremila euro a rifusione delle spese sostenute dalla ex fidanzata in vista delle nozze (acquisto dell’abito ed altro) ritenendo che l’onere della prova della consensualità della risoluzione ricadesse sul convenuto, essendo emerso al contrario dalle varie testimonianze raccolte che la decisione di non contrarre matrimonio, presa dal ricorrente, era stata esplicitata all’esterno solo sei o sette giorni prima della data fissata e che lo stesso non aveva provato la sussistenza di un giustificato motivo per il suo ripensamento, tale da sottrarlo all’obbligo non di risarcire i danni.

La Cassazione, tuttavia, ah ritenuto che in sede di merito fosse stato accertato che era stato l’uomo a rompere la promessa di matrimonio, comunicando la decisione solamente una settimana prima della cerimonia. Giusto, dunque, il risarcimento stabilito in favore della donna per coprire le spese sostenute, a partire da quelle per l’abito, e consentirle anche di adempiere, almeno in parte, alle obbligazioni assunte in funzione delle nozze.

La redazione giudica

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