Respinto il ricorso di un uomo che chiedeva l’addebito della separazione alla moglie nonché l’assegnazione, in suo favore, di una porzione della casa coniugale

Con la sentenza n. 22266/2020 la Cassazione si è pronunciata su un ricorso in tema di addebito della separazione. Il caso è quello di una coppia di ex coniugi che si erano visti respingere dal Tribunale le reciproche domande di addebito della responsabilità della separazione personale. Il Giudice, nello specifico, aveva affidato il figlio a entrambi con collocazione presso la madre, alla quale veniva assegnata la casa coniugale, e aveva posto a carico del marito un assegno mensile ammontante a 200 euro per il mantenimento del figlio, oltre alla metà delle spese straordinarie.

L’uomo aveva impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di appello, chiedendo la pronuncia di addebito della separazione a carico della moglie, la collocazione del minore presso il padre nella casa coniugale, con conseguente assegnazione in suo favore della medesima o di una parte di essa. L’ex moglie si era costituita, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e aveva proposto appello incidentale affinché la separazione fosse addebitata al coniuge e fosse disposto l’aumento dell’assegno di mantenimento per il figlio a 300 euro.

Il giudice di secondo grado, tuttavia, aveva respinto l’impugnazione, considerando infondati sia l’appello principale che quello incidentale.

In particolare, aveva evidenziato che la pronuncia di addebito, richiesta da entrambi, non potesse fondarsi sulla mera violazione degli obblighi coniugali, essendo necessario accertare il nesso eziologico tra la condotta violativa e il fallimento della convivenza coniugale.

Il Collegio distrettuale aveva quindi confermato la collocazione del figlio presso la madre, non essendo ravvisabili condotte pregiudizievoli della stessa e neanche disagi del minore a causa della convivenza con il nuovo compagno di quest’ultima; poi, aveva assegnato l’immobile nella sua interezza alla donna, escludendo l’ammissibilità di un’assegnazione parziaria, stanti le modeste dimensioni della stessa e la conflittualità accesa tra i due coniugi; infine, aveva respinto il ricorso incidentale anche relativamente all’aumento dell’assegno di mantenimento richiesto dall’appellata, tenendo conto delle condizioni economiche del marito.

L’uomo si era quindi rivolto alla Suprema Corte, deducendo, tra gli altri motivi, l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge ed omesso esame di un fatto decisivo in relazione al rigetto della domanda relativa all’assegnazione parziaria della casa coniugale.

In particolare, a suo avviso, non era stato considerato che l’uomo risiedeva nel vano cucina della proprietà della madre confinante con la casa coniugale. Inoltre, l’assegnazione parziale della casa coniugale secondo il ricorrente non avrebbe provocato conflitti, anzi ne avrebbe evitato l’insorgenza.

Per la Cassazione, tuttavia, si tratta di una doglianza manifestamente infondata. La Corte d’appello. Infatti, si era correttamente attenuta al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui la possibilità di assegnare una porzione della casa coniugale al genitore non collocatario possa essere prevista solo nel caso in cui l’unità immobiliare sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia o sia agevolmente divisibile.

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