In presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa al figlio, il giudice della separazione può adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori e di esercizio del loro ruolo educativo, che tengano conto del superiore interesse del minore

La separazione giudiziale

Il Tribunale di Como aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi e aveva affidato il figlio minore ad entrambi, collocandolo presso la madre e disciplinando il diritto di visita del padre cui aveva imposto un assegno mensile di 600 euro a titolo di contributo al mantenimento del figlio, oltre al 50% delle spese di istruzione, cura ed educazione.

Il padre del minore aveva manifestato il proprio dissenso a che il figlio (che era stato battezzato nella Chiesa Cattolica) ricevesse dalla madre l’istruzione religiosa propria della dottrina geovista e partecipasse con lei alle relative cerimonie presso la Sala del Regno frequentata da quest’ultima; preferendo piuttosto che egli seguisse fino alla Cresima il percorso di educazione religiosa e introduzione ai sacramenti della Chiesa Cattolica, sì da poter conoscere i fondamenti di detta fede e poter effettuare, da adulto, una scelta consapevole.

Stante il contrasto fra i genitori il giudice di primo grado aveva deciso ai sensi dell’art. 337 ter c.c., ritenendo che la scelta paterna fosse quella maggiormente rispondente all’interesse del piccolo; ciò gli avrebbe consentito più agevolmente la integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, “il quale, benchè notoriamente secolarizzato, resta pur sempre di matrice cattolica (basti pensare al patrimonio artistico italiano ispirato alla dimensione religiosa cattolica, alla aggregazione giovanile suscitata a livello parrocchiale con iniziative per bambini e adolescenti legate al catechismo, oratorio, grest, ecc.)”.

La decisione sul percorso di educazione religiosa del minore

Tanto deciso, il Tribunale aveva disposto che il padre coerentemente con la sua dichiarata intenzione, accompagnasse il proprio figlio nel percorso di educazione religiosa da lui prescelto, favorendone l’inserimento nella comunità parrocchiale di appartenenza e la frequenza alla pratica religiosa via via richiestagli anche, se necessario, in giornate e orari diversi dal protocollo di visita; mentre correlativamente la madre avrebbe dovuto responsabilmente astenersi, onde non destabilizzare il bambino, dall’impartirgli ulteriori insegnamenti della dottrina geovista e dal condurlo alle relative cerimonie.

La Corte di appello di Milano confermava la decisione di primo grado, ritenendo che la scelta di consentire al piccolo di completare la formazione religiosa cattolica sino al sacramento della Cresima (e cioè sino ai 12-13 anni), senza ricevere altri insegnamenti contrastanti con quelli della religione cattolica e senza frequentare contemporaneamente le adunanze della Sala del Regno, fosse quella più rispondente al suo interesse.

Il giudizio di legittimità

Tale motivazione non è stata condivisa dai giudici della Suprema Corte (Prima Sezione Civile, sentenza n. 21916/2019) che hanno, invece, ritenuto le diverse argomentazioni sostenute dal Procuratore Generale pienamente condivisibili e coerenti con la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sezione I, n. 12594 del 24 maggio 2018, n. 9546 del 12 giugno 2012, n. 24683 del 4 novembre 2013) secondo, cui in tema separazione e di affidamento dei figli, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse del minore, stante il suo diritto preminente ad una crescita sana ed equilibrata, sicchè il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di provvedimenti, relativi all’educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo.

Tuttavia la possibilità di adottare simili provvedimenti restrittivi, in presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall’adesione a un diverso credo religioso, non può essere disposta dal giudice sulla base di una astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori e che esprima un giudizio di valore precluso all’autorità giudiziaria dal rilievo costituzionale e convenzionale Europeo del principio di libertà religiosa. Nè tale possibilità può basarsi sulla considerazione della adesione successiva di uno dei due genitori a una religione diversa rispetto a quella che precedentemente era seguita e praticata da entrambi e che, originariamente, è stata trasmessa al figlio o ai figli come religione comune della famiglia perchè tale criterio astratto lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori.

La decisione

Ne deriva che la possibilità da parte del giudice della separazione di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall’accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo e tale accertamento non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto.

La sentenza impugnata è stata, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di appello perché rivaluti la controversia alla luce dei principi di diritto sopra enunciati.

Avv. Sabrina Caporale

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