Logli condannato a 20 anni per il presunto assassinio di Roberta Ragusa. Intervista al giudice drammaturgo Gennaro Francione

articolo a cura di Gigi Trilemma

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Gennaro Francione

Antonio Logli, marito di Roberta Ragusa, è stato condannato a 20 anni per omicidio e distruzione di cadavere.  Al momento della lettura della sentenza non era in aula. La moglie era scomparsa nel nulla nella notte tra  il 13 e il 14 gennaio 2012 dalla sua casa in via Dini a Gello, in provincia di Pisa. Il giudice non ha accordato al condannato, come richiesto dalla Procura, la misura cautelare in carcere. Ha invece disposto l’obbligo di dimora per l’uomo nei comuni di Pisa e San Giuliano Terme nelle ore notturne, dalle 21 alle 6. Logli è stato anche interdetto per sempre dalla potestà genitoriale. Si tratta di un caso che suscita molto clamore, soprattutto perché manca il corpo della donna. Pochi mesi fa era arrivata una sentenza simile che aveva condanno Padre Graziano a 27 anni di reclusione per l’omicidio di Guerrina Piscaglia, mai ritrovata.

Per approfondire la questione abbiamo intervistato l’ex magistrato, ora scrittore e  drammaturgo, Gennaro Francione.

Come commenta la sentenza Logli?

Logli era da assolvere. Senza corpo della presunta vittima non si può condannare per omicidio un indiziato perché nessuno, fino all’insorgere di eventuali  sviluppi eclatanti, potrà mai dire che la donna è veramente morta, se sia stata uccisa, chi l’abbia uccisa  e il modo in cui sia stata uccisa. Già non si riescono a  decifrare i delitti con sicurezza a fronte del rinvenimento del cadavere figuriamoci senza. Anche dal punto di vista formale l‘oscillazione dei giudici tra assoluzione nelle precedenti fasi e condanna ora crea per sé un ragionevole dubbio che Logli non sia colpevole.

In Italia sono molti i casi di condanna senza il ritrovamento del corpo?

Ci sono stati casi in Italia anche se devo rilevare una certa cautela ad opera dei giudici proprio per il mancato rinvenimento del corpo che impedisce ovviamente di affermare un delitto se non in via spesso di assoluto azzardo.

L’archiviazione del caso della scomparsa Manuela Teverini, in cui venne incriminato il marito Costante Alessandri, avrebbe dovuto fare da pilota a processi analoghi come nei casi Ragusa e Piscaglia.

Di Manuela Teverini si persero le tracce nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2010 a Capannaguzzo, una piccola frazione di Cesena. Si stava per separare dal marito su cui s’indirizzarono i sospetti che sembrarono avvalorati dalla confessione che Alessandri fece ad una prostituta al telefono, salvo a giustificarla sostenendo di aver voluto provocare gli inquirenti per essersi accorto che veniva intercettato. Dopo la ritrattazione del marito, il caso Teverini fu definitivamente archiviato.

Nei casi di scomparsi s’impone un giudizio di gran rigore. Senza ritrovamento del corpo nessuno potrà essere accusato di omicidio e occultamento di cadavere. E, invece, ecco la condanna di padre Gratien e ora di Logli  con ciò decretandosi il trionfo del processo indiziario su base romanzesca.

Processi come quelli di Ragusa e Piscaglia neppure dovrebbero essere celebrati. Se manco col corpo della vittima si riesce a stabilire chi è il colpevole (vedi caso Meredith Kerker) come si potrà condannare taluno se nemmeno sono stati trovati i resti della presunta assassinata? Questo dei processi per omicidio senza cadaveri è il non plus ultra del processo indiziario ad altissimo rischio di condannare innocenti.

A suo giudizio, quindi, non si può condannare qualcuno per omicidio senza aver ritrovato il corpo. 

Habeas corpus! Se non si trova il corpo, non si potrà processare né condannare chicchessia.

I processi per l’assassinio della Piscaglia e della Ragusa, a nostro modo di vedere, sono frutto di una superfetazione giudiziaria  proprio perché non sono stati trovati i corpi delle due donne, non potendosi escludere che le stesse se ne siano scappate o siano morte accidentalmente o che altri le abbia uccise nascondendone i resti.

Nella criminologia dinamica da noi prospettata dobbiamo porci una serie di quesiti che nel nostro caso non sono stati risolti proprio per la mancanza del corpo.

Faccio la parte del diavolo, più che mai consona in rapporto a padre Graziano che è un imputato religioso. Se anche fosse morta la Guerina davanti al prete, è responsabile lui della sua morte o altri che lui copre? E, se avesse provocato lui la morte cosa gli si può imputare: omicidio volontario, colposo, preterintenzionale?  Stesso discorso è a farsi, mutatis mutandis, per Logli.

Non è possibile fare così i processi! Il medioevo era giustificato perché gl’inquisitori erano dei magistrati inconsapevoli, ma ora sono passati i 5 secoli – ahimè invano – attraverso i Voltaire e Beccaria!

Il caso Isabella Noventa: manca il corpo e i tre imputati Freddy Sorgato, sua sorella Isabella e Manuela Cacco, l’amante, danno versioni contrastanti. Come orientarsi?

In quel caso dalle testimonianze dei tre implicati nella vicenda risulta che la donna è stata sicuramente uccisa e, quindi, sappiamo che i tre hanno contribuito certamente all’occultamento del cadavere.

Il problema di fondo rimane perché senza corpo e senza arma del delitto sarà difficile per una corte rigorosa sfuggire alla trappola Bebawi.

Il caso Bebawi fece epoca negli anni ’60. I coniugi Youssef e Claire Bebawi furono accusati di aver ucciso il ricco industriale Faruk Chourbagi, amante della donna. Il processo di primo grado si chiuse con l’assoluzione per insufficienza di prove: lui accusava lei, lei lui. Nell’appello furono condannati entrambi sulla base degli stessi elementi del primo grado, il che già la dice lunga perché nell’oscillazione tra gradi non si capisce come si può essere sicuri della colpevolezza.

Il gioco Bebawi era, quindi, di lanciarsi accuse reciproche ma chi aveva a veramente ucciso Chourbagi? Dubbio terribile e irrisolvibile che si ripropone nel caso Noventa, essendo tutto fondato su testimonianze-confessioni contraddittorie e contrapponentisi come accade nel processo Loris Stival e Sarah Scazzi. Sicché a nostro modo di vedere l’unico reato che si può ascrivere allo stato ai tre è proprio l’occultamento di cadavere.

Formula residuale di giustizia in tali casi che fu giustamente usata anni fa da corti d’assise romane in un eclatante processo, il delitto della Bufalotta, di questo tipo che passò anche tra le mie mani.

Anche nel caso di Roberta Ragusa manca il corpo. Ma la famiglia, l’opinione pubblica e molte trasmissioni tv chiedono il processo.

I media si sono alleati prepotentemente alle azioni dell’accusa pubblica per far ritenere un sicuro delitto dietro casi di persone scomparse.

Nel caso Ragusa il martellamento delle informazioni sull’omicidio ad opera del marito e sull’occultamento del cadavere restringono l’attenzione della gente e del popolo su una sola possibilità: la donna è stata oggetto di delitto da parte del Logli.

Qui il processo si è svolto a fisarmonica con proscioglimento del Logli per cui poi è iniziato un nuovo procedimento ora chiuso in primo grado con la condanna. In più luoghi abbiamo espresso contrarietà a riforme di sentenze con richiesta di condanna, una volta intervenuta assoluzione in un grado di giudizio. In tal caso, infatti, non è lo stresso verdetto assolutorio a costituire quanto meno un ragionevole dubbio d’innocenza?

Nel merito.

Un vero e proprio esercito è quello delle persone scomparse dal 1974 ad oggi. Se ne contano centinaia di migliaia e ne sono state ritrovate l’80 % circa. Ma possibile che tutti quanti gli scomparsi siano morti ammazzati? Di sicuro no. Molti di quelli ritrovati risultano spariti volontariamente, per perdita della memoria, oppure morti per patologie sopravvenute fulminanti, accidenti naturali etc..

“Hai mai pensato di andare via e non tornare mai più? Scappare e far perdere ogni tua traccia, per andare in un posto lontano e ricominciare a vivere, vivere una vita nuova, solo tua, vivere davvero. Ci hai mai pensato?“. Cito Luigi Pirandello, che nel Fu Mattia Pascal prese spunto da un caso vero.

Per chi voglia entrare nella psicologia della persona che sparisce e non lascia più traccia di sé per liberarsi dal mondo infame in cui vive consiglio la lettura di questo capolavoro pirandelliano. Cambiare luogo di vita e identità per diventare una persona completamente diversa è una valida alternativa all’ammazzarsi. Per alcuni, afflitti da gravissimi problemi finanziari, coniugali e familiari si pone come unica alternativa a una vita assai grama e disperata. Meglio sparire! Ma vivi!

Passando a casi giudiziari eclatanti ricordiamo l’omicidio senza cadavere che sarebbe stato compiuto negli anni ’50 da Salvatore Gallo, condannato all’ergastolo con l’accusa di aver assassinato il fratello Paolo, con cui era venuto a diverbio. Sette anni dopo la condanna il presunto morto si ripresentò vivo e vegeto testimoniando non solo l’innocenza del fratello ma anche il pericolo di presunzioni terribili in materia penale.

La cosa assurda, a testimonianza del pericolo di pregiudizi da parte di procedure penali e massmediali alla ricerca di delitti a tutti i costi, fu che il verdetto venne emesso malgrado due contadini avessero giurato di aver visto Paolo Gallo vivo e vegeto. Non era la giustizia a sbagliarsi, ma loro a mentire: condannati per falsa testimonianza.

Un cronista del quotidiano “La Sicilia”, Enzo Asciolla, seguendo una labilissima traccia, scoprì che Paolo Gallo non era mai morto ma aveva semplicemente deciso di scomparire. Intanto il fratello aveva trascorso sette anni in galera, poi gravemente ammalatosi in carcere di artrosi, finendo su una sedia a rotelle.

Possibile che Paolo non sapesse del fratello incarcerato? Il processo invita a meditare sul come non sia peregrino che chi scompaia decida poi di non farsi vivo per vendicarsi in qualche modo del suo presunto o vero aguzzino, il quale subirà atroci sofferenze, carcerazioni ed ergastoli.

Quali sono secondo lei i parametri per un giusto processo?

Questi parametri ho raccolto e posto alla base del MOVIMENTO PER IL NEORINASCIMENTO DELLA GIUSTIZIA (MOV.RIN.GIU) da me fondato. (https://www.facebook.com/groups/969134863127287/?ref=ts&fref=ts)

Il primo Rinascimento fu rappresentato dall’Illuminismo che, stroncata virtualmente la giustizia disumana degl’inquisitori, gettò i semi per una rivoluzione di Temi che attende ancora di essere realizzata col nostro secondo Rinascimento. Emblematico è che ancor oggi si svolge il processo indiziario col rischio di condannare innocenti, sovvertendo la massima di Voltaire: “È meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente”.

E, quanto al carcere, gli attuali lager restrittivi definiti eufemisticamente alberghi (8 persone in una cella) tradiscono il principio di Beccaria: “Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”. E poi: “Il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione”.

Il libro base di quella che ritengo un’autentica rivoluzione della giustizia (con la riforma non si cambia mai nulla di sostanziale) è stato il saggio Temi desnuda (Vademecum per creare una giustizia giusta), da me curato e scritto insieme a Ferdinando Imposimato e Paolo Franceschetti, con interventi in pre e postfazione di Saverio Fortunato e Antonietta Montano. Editrice Herald di Roma.

Nel campo penale il MOV.RIN.GIU sostiene i seguenti principi: lotta al processo indiziario, giudice di quartiere e d’intervento web, nomofilachia nel favor rei, verdetti innovativi pro deboli contro i forti, doppio grado di giudizio, diritto medicinale, separazione delle carriere e, infine, una gigantesca rotazione dei giudici nell’unificazione di tutte le magistrature in incarichi pro tempore (giudice ordinario, giudice di pace, giudice amministrativo, giudice di quartiere e web).
Il Movimento è sostenuto da EUGIUS (Unione Europea dei Giudici Scrittori) e da UNDA (Unione nazionale donne avvocato).

Molto spesso in Italia ci troviamo davanti a processi indiziari. Secondo lei questo tipo di processo tutela l’imputato?

I processi si fanno per prove forti non per indizi che servono solo a creare congetture, invalidate se non si trovano riscontri tali che qualunque sperimentatore arrivi allo stesso risultato. Questo è il processo scientifico popperiano, non romanzesco e medioevale. Gli indizi servono solo ad aprire piste d’indagine ma poi se non si trovano prove forti il processo cade.

Il brocardo “Bastano tre indizi per fare una prova” è… falso! Mille indizi non formano una sola prova come mille conigli formano una conigliera e non certo un leone!

Scoprire gli autori dei delitti è tutt’altro che semplice. E’ letteratura gialla che non esiste il delitto perfetto. Esiste e come! Ce ne sono tanti! E la giustizia annaspa anche inconsciamente alla ricerca di colpevoli a tutti i costi per mostrare che funzioni.

Noi, per una giustizia giusta, dobbiamo pretendere solo prove forti e su di esse condannare, quindi non solo la confessione e/o la pistola fumante, ma anche intercettazioni telefoniche inequivocabili, testimonianze nette incrociate, rilievi scientifici fatti come si deve, sicuri al 100 % e impeccabili proceduralmente. Al riguardo abbiamo escogitato un organismo nuovo neutro di esperti, al servizio della magistratura giudicante, agente con la polizia scientifica e i consulenti della difesa come controllori contrapposti, così attuando l’art. 111 della Costituzione che assicura la parità reale tra accusa e difesa.

Se non si procede per prove forti tutto quello che si può fare è innescare processi indiziari a carico di presunti colpevoli, tenendoli comunque fuori dalla prigione. Se poi gl’indizi non portano a prove, queste sì gravi precise e concordanti, il processo è fallito.

Ma il processo indiziario non è previsto dalla legge?

In Italia, in brevissima cronistoria, il processo indiziario non era previsto dal codice Rocco ma fu elaborato dalla giurisprudenza e introdotto nell’attuale codice di procedura penale. L’art. 192 c.p.p. ha creato un sistema d’interpretazione dei dati fondato in primis sulle prove e solo in via marginale sugli indizi “gravi, precisi e concordanti”. Oggi secondo statistiche il 90 % dei processi si svolge su base indiziaria per cui quello che doveva essere un processo eccezionale è diventato la regola con altissimo rischio di mettere dentro persone innocenti.

Noi ci battiamo per farne dichiarare l’incostituzionalità. Ho provato a sollevare vanamente la questione d’incostituzionalità perché il processo indiziario non è atto a garantire la ricerca della verità e oggi invito avvocati e magistrati a riproporre la questione dopo l’introduzione della formula del ragionevole dubbio. Ogni processo indiziario per sua natura crea ragionevoli dubbi. I processi vanno fatti per essere sicuri di una giustizia giusta solo per prove fortissime.

Cosa ne pensa dei processi in tv?

Questi processi hanno usurpato gli schermi a ogni ora del giorno e della notte, taluni subdolamente colpevolisti per aumentare l’audience. Sono talmente invasivi che in un caso hanno addirittura anticipato inspiegabilmente il verdetto di condanna di qualche minuto.

Il problema è il peso che questi processi spettacolarizzati generano su giudici togati e popolari, compromettendo gravemente la verginità cognitiva delle corti.

Giudici e procuratori che hanno osato opporsi alle spinte colpevoliste di processi eclatanti come quelli del mostro di Firenze e di Meredith Kercher hanno pagato con l’ostracismo dei colleghi e la riprovazione dell’opinione pubblica che vuole un condannato a tutti i costi.

Questi processi in tv si possono fare ma limitandone la quantità, ristabilendo l’equilibrio tra le parti e soprattutto insegnando alla gente che il principio di non colpevolezza prima della sentenza definitiva è un fatto e non un’astrazione.

Di certo, quando i processi per una giustizia giusta si faranno per prove forti e non per indizi, verrà meno la spettacolarità di talune azioni giudiziarie e automaticamente diminuiranno, perché non più eccitanti, questi crime reality show.

Sì, la rivoluzione per una giustizia giusta nelle aule e nella multimedialità ha una chiave primaria: eliminare il processo indiziario.

 

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