Shock emorragico e decesso del paziente: confermata la penale responsabilità del Chirurgo  (Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 2154 depositata il 19/01/2022).

Shock emorragico da rottura di aneurisma: la Corte di Appello di Brescia,  in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, confermava la penale responsabilità del Medico in servizio presso l’ospedale di Calcinate.

Shock emorragico per rottura di aneurisma dell’aorta addominale che per negligenza, imprudenza e imperizia e violazione delle regole dell’arte medica, cagionava per colpa la morte del paziente.

In particolare veniva ravvisata la colpa del Medico per avere lo stesso intrapreso un percorso diagnostico-terapeutico non corretto ed inadeguato in relazione alla sintomatologia dolorosa lamentata dal paziente il quale veniva dimesso con diagnosi “lombalgia”, per avere omesso di valutare i fattori legati alle condizioni di un paziente anziano, affetto da ipertensione e cardiopatia ischemica, nonché per avere ritenuto l’esaustività dell’esito dell’indagine radiologica addominale, laddove l’effettuazione di una ecografia addominale avrebbe consentito di evidenziare dimensione e morfologia dell’aneurisma, evitando anche lo shock emorragico, accertato poi nel diametro di circa 8 cm, e di intraprendere un’adeguata terapia chirurgica presso una struttura ospedaliera dotata di reparto di chirurgia vascolare in condizioni emodinamiche stabili con elevate probabilità di sopravvivenza del paziente.

Il medico veniva condannato alla pena di mesi 8 di reclusione e, in solido con la Struttura, al pagamento dell’importo di € 740.000,00.

Secondo la Corte d’Appello, la tesi difensiva secondo cui il Medico non avrebbe individuato la causa del dolore nella coprostasi, ma in un problema muscolo-scheletrico definito “lombalgia” che non costituiva una diagnosi ma un sintomo, risultava smentita dalle dichiarazioni dello stesso imputato che nel corso del suo esame riferiva di aver spiegato alla moglie che, stante la negatività addominale, radiologica e anatochimica, i dolori lamentati erano compatibili con una coprostasi tanto è vero che  prescrisse una terapia antinfiammatoria e miorilassante.

La colpa grave del Medico per imperizia grave e negligenza, non poteva essere esclusa neppure dalla difficoltà di formulare l’ipotesi terapeutica differenziale di aneurisma aortico addominale, trattandosi nella specie di diagnosi suggerita e anzi imposta – dalle manifestazioni cliniche e dall’anamnesi del paziente, così come affermato da tutti i consulenti tecnici nonché, indirettamente, dallo stesso Medico imputato il quale si difendeva affermando di avere pure considerato un aneurisma aortico addominale tra le possibili cause della sintomatologia dolorosa, ma di averla esclusa a seguito degli esami svolti i cui esiti l’avevano determinato a non richiedere un’ecografia addominale.

La Corte territoriale condivideva le conclusioni del primo Giudice sul fatto che l’interruzione del percorso diagnostico aveva impedito l’accertamento dell’esistenza dell’aneurisma che, laddove accertato, avrebbe determinato un intervento chirurgico pressoché immediato, scongiurando lo shock emorragico.

Pertanto sia nel caso in cui l’imputato fosse incorso in omessa diagnosi, sia che avesse astrattamente contemplato e poi escluso l’ipotesi diagnostica di aneurisma aortico, sfociato in shock emorragico, ad avviso della Corte non poteva escludersi il carattere imperito e negligente della condotta che dimetteva il paziente affetto da aneurisma aortico addominale in fase di rottura senza formulare una diagnosi avendo, d’altronde, lo stesso consulente della difesa sostenuto che, ex post, non c’era una diagnosi errata ma una mancata diagnosi.

Secondo gli Ermellini il ricorso deve essere rigettato, avendo i Giudici di merito correttamente accertato la sussistenza del nesso eziologico al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ai fini dell’accertamento del rapporto di derivazione causale che deve sussistere tra la condotta e l’evento, si ricorre alla teoria condizionalistica integrata da leggi e criteri che le conferiscono base scientifica secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura. Come affermato nella nota sentenza Franzese, lo statuto della causalità è unico sia per i reati commissivi che per i reati omissivi impropri essendo la verifica della sussistenza del nesso di causalità sottoposta, in entrambi i casi, ad analogo statuto di verifica e di corroborazione.

Nel reato omissivo improprio, in cui vige la clausola di equivalenza ex art. 40 c.p., comma 2, è necessario accertare con certezza o elevata credibilità razionale che, aggiungendo mentalmente la condotta doverosa omessa, l’evento non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato con minore intensità lesiva o in un’epoca significativamente posteriore.

Ed ancora, ai fini della prova giudiziaria del nesso di causalità, non è decisivo il coefficiente percentuale più o meno elevato di probabilità empirica o frequentista; ciò che conta è che si possa ragionevolmente confidare nel fatto che la legge statistica in questione trovi applicazione nel caso concreto oggetto di giudizio stante l’alta probabilità logica o credibilità razionale che siano da escludere decorsi causali alternativi.

Anche una bassa probabilità statistica di verificazione dell’evento può essere compensata da un’elevata probabilità logica di verificazione dello stesso, laddove si escluda l’esistenza di decorsi causali alternativi.

La Corte territoriale ha sviluppato correttamente l’accertamento del nesso di causalità selezionando dapprima, sul piano generalizzante, la legge scientifica di copertura applicabile al caso concreto e procedendo poi, sul piano individualizzante, ad una verifica congiunta delle generalizzazioni causali, da un lato, e delle contingenze fattuali, dall’altro, al fine di pervenire alla esclusione dell’incidenza sul caso specifico di fattori interagenti in via alternativa.

La sentenza impugnata risulta, pertanto, pienamente conforme alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di colpa medica, il nesso di causalità tra l’omessa diagnosi e il decesso di un paziente deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica fondando, oltre che su un ragionamento deduttivo basato su leggi scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto”.

Avv. Emanuela Foligno

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