La PAS, secondo la scienza medica, è la “sindrome da alienazione parentale”, ma nel concreto processuale è una vera e propria forma di violenza sul minore

L’esempio paradigmatico di tale grave affermazione lo offrono le decisioni di merito dei Giudici veneti, sfociate poi in Cassazione (sentenza n. 13274/2019). Entrambi i Giudici di merito rifiutavano l’ascolto del minore basandosi asetticamente sulle risultanze della CTU che deponeva, per l’appunto, per la diagnosi di PAS.

Il tragico risultato fu che il minore, dopo 6 mesi di comunità protetta e conseguente allontanamento dalla madre, veniva affidato al padre, ovvero veniva affidato al genitore nei confronti del quale il ragazzino rifiutava qualsiasi approccio, da lì, appunto, la diagnosi di PAS.

Teorizzata e divulgata dallo Psicologo americano Richard Gardner verso la fine degli anni ’80, la PAS è identificabile in una dinamica, per la quale un genitore, definito alienante, attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore, definito alienato, ed il minore – conteso dai due genitori – ha, a sua volta, un atteggiamento di allontanamento verso quel genitore.

Secondo lo Psicologo la soluzione da attuare sarebbe quella di affidare il minore al genitore rifiutato dopo un periodo di allontanamento in comunità protette al fine di vincere la viscerale avversione nei confronti di tale genitore.

La “diffusione” della PAS nel nostro sistema giudiziario ha comportato, purtroppo, dei veri e propri aborti decisionali.

La PAS, infatti, comporta la piena svalutazione di qualunque manifestazione di volontà da parte del minore, che si presume essere inaffidabile in quanto “non libero ma condizionato e manipolato”.

Siamo di fronte, dunque, a un marcato conflitto con le garanzie che il legislatore, la dottrina e la giurisprudenza hanno assegnato alla posizione processuale del minore.

Sull’ascolto del minore, la Suprema Corte, con la citata pronunzia n. 13274, tenta di arginare quegli automatismi che scattano al manifestarsi della diagnosi di PAS, laddove afferma a chiare lettere che “il tempo trascorso dall’audizione del minore e la stessa violazione del principio di bigenitorialità non possa comportare la soppressione ad ogni costo della volontà del minore ultradodicenne”.

Negli ultimi quindici anni vi sono state decisioni “conformi” alla teoria dello Psicologo Gardner, ma anche numerosi tentativi di legittimità di “respingere” il riconoscimento della PAS, o quantomeno di contenerne gli aspetti più preoccupanti e tendenti all’ estromissione del minore dalle vicende processuali.

Già dalla fine degli anni ’90, e fino ai più recenti esempi, è possibile rinvenire nella giurisprudenza di merito la ricorrente applicazione stereotipata ed automatica del modello formalizzato da Gardner dalla diagnosi del C.T.U. fino al momento dell’affido esclusivo dopo un periodo intermedio di “purificazione” presso una comunità protetta.

L’ultimo intervento di legittimità vuole porsi in una posizione di equilibrio -o di spartiacque per meglio dire-, tra le posizioni di palese ostilità nei confronti della PAS, e quelle di sterile e cieca adesione.

L’invito dei Giudici di legittimità è quello di spingersi oltre il livello delle CTU per procedere ad un accertamento più concreto della verità.

E per arrivare alla verità devono essere accertati tutti quegli elementi, comportamenti, accuse, lotte intestine familiari, che rischiano di confondersi nella PAS creando una miscellanea tale per cui il Giudice sia costretto ad aderire  de plano alle conclusioni dei CTU.

L’accertamento concreto di tutte le circostanze risulta assolutamente doveroso quando si discorre di benessere del minore, che prescinde, e deve prescindere, dalla responsabilità genitoriale.

Ciò che dovrebbe essere ponderata è l’adeguatezza genitoriale, senza che essa venga inquinata da una CTU che ipotizzi la diagnosi di PAS.

Con tale considerazione, non si vuole negare l’esistenza di dinamiche discriminatorie e problematiche -nei processi di separazione e divorzio- tra un genitore e il figlio, ma si vuole sostenere che l’allontanamento del figlio nei confronti del genitore possa essere gestito senza la necessità di invocare una patologia da PAS, poiché siamo di fronte ad un semplice sentimento negativo di un figlio verso un genitore.

Sarebbe, dunque, auspicabile che venga nei limiti del possibile, e considerata anche l’età, rispettata, o quantomeno valutata la volontà del figlio.

Anche perché è lui “l’oggetto del contendere”.

Avv. Emanuela Foligno

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