Per il segretario Troise è un “passo verso doppio canale formativo e duemila specialisti/anno in più”

L’associazione dei medici e dirigenti del SSN promuove il disegno di legge che è stato approvato all’unanimità in Commissione Sanità al Senato; per il segretario Costantino Troise, infatti, è positiva la proposta secondo cui, regioni e ministeri di Salute e Istruzione possono contrattare nuove modalità per inserire specializzandi negli ospedali del servizio sanitario inclusi nella rete formativa.

“L’articolo 7 del disegno di legge Lorenzin è un passo avanti nella formazione dei futuri specialisti. Apre la strada a una soluzione del nodo tutto italiano del monopolio universitario sulle specializzazioni e, in prospettiva, prova a disinnescare la bomba sociale dei medici laureati che restano fuori dalle scuole di specializzazione. Ma richiede investimenti alle regioni, da contrattare al tavolo per la valorizzazione delle risorse”.

Il nodo dell’avviamento al lavoro e dell’introduzione nelle strutture sanitarie degli specializzandi è cruciale e, solo qualche settimana fa l’intersindacale medica aveva inoltrato una proposta in base alla quale si prevede la costituzione di una rete paritaria atenei-ospedali che attende, però, risposta dalle regioni.

L’Anaao, dunque, riconosce che l’articolo 7 del ddl valorizzi questa proposta, anche se – e questo è il suo limite – non prevede nuovi oneri per il Ssn: “Si tenta di migliorare la qualità dei percorsi formativi ma nulla si dice sui numeri, né si potrebbe dire. Il governo cerca peraltro di rendere cogenti regole approvate nel 1998 ma mai applicate, riconoscendo un ruolo paritario per i percorsi formativi dei professionisti sia che avvengano in strutture universitarie sia che avvengano in strutture Ssn e di incrementare il peso delle attività professionalizzanti nella retribuzione istituendo un rapporto più stretto tra facoltà mediche e strutture Ssn. Ma sui numeri, sulle risorse, sui contratti che servono al Ssn la partita si gioca con le regioni sulla riscrittura dell’articolo 22 del Patto salute che, implicando una legge delega, potrebbe dare soluzioni a breve se si trovasse una volontà comune”.

L’intervento, però, deve essere il più rapido possibile: “In Italia – ha spiegato ancora Troise – abbiamo 10 mila matricole l’anno a fronte di 6 mila ammessi a specialità, cui si aggiungono 11 mila accessi decisi d’ufficio dai Tar negli ultimi 2 anni che hanno portato gli atenei italiani ad avere tra 2013-14 e 2014-15 ben 31 mila iscritti al primo biennio di medicina. Se si laurea l’85%, il tasso attuale, nel 2019-20 e nel 2020-21 avremo 25 mila laureati cui vanno aggiunti i laureati di precedenti annualità che non sono riusciti ad entrare nelle scuole di specializzazione: una marea di medici senza possibilità di passare ai ruoli Ssn, a meno che – oltre a chiudere gli accessi alle facoltà definendo un tetto di 7 mila immatricolati – non si porti a 9-10 mila il numero degli ammessi alle scuole di specialità e al tirocinio di medicina generale per i prossimi 5-6 anni”.

Aumentare i posti per gli specializzandi è possibile: “Se immaginiamo che le Regioni paghino parte del lavoro insito nei processi formativi, lo Stato potrà indirizzare risorse che oggi investe per i contratti di formazione a nuovi contratti di specializzazione. Con 140 milioni si istituirebbero circa 2 mila contratti in più, ogni anno, avvicinando il numero dei futuri specialisti a quello degli attuali laureati abilitati. Si consideri che in tutta Europa i medici che si formano sono dipendenti della sanità. In Italia invece si immagina un periodo formativo propedeutico che toglie prospettive, anche previdenziali, al medico e chance ai servizi sanitari che invece si gioverebbero del trasferimento di competenze ai giovani”.

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