1.Il caso e la problematica giuridica sottesa.

Un minore, cittadino e residente in un paese di quella che una volta si sarebbe chiamata Europa dell’Est, mentre viaggia a bordo di un autobus (probabilmente turistico) nei pressi di Milano, intendendo accedere alla toilette ivi presente, aziona una maniglia nella convinzione che fosse quella che consentiva l’apertura della porta ed invece, così facendo, mette in funzione una porta esterna del mezzo e viene risucchiato al di fuori, riportando gravissime lesioni. Conseguentemente i genitori del ragazzo agiscono in giudizio sia in proprio, che quali esercenti la potestà genitoriale al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali subiti. La sentenza di primo grado, per motivi che qui non è il caso di descrivere (e che attengono, sinteticamente al fatto che l’accaduto viene imputato ad una responsabilità dei genitori ai sensi dell’art. 2048 c.c. per non aver vigilato sul figlio), rigetta la domanda dei genitori, mentre la Corte di appello, in riforma della sentenza del primo giudice, accoglie la richiesta risarcitoria e di conseguenza riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale in favore del minore, nonché quello “riflesso” dei genitori per la macrolesione subita dal figlio.

L’impresa assicuratrice dell’autobus sul quale viaggiava il minore propone però ricorso in Cassazione per vari motivi, tra i quali quello che in questa sede ci interessa maggiormente è il seguente: in buona sostanza veniva censurata la sentenza della Corte di appello milanese in quanto, nel liquidare il risarcimento del danno non patrimoniale, aveva ritenuto di applicare i “parametri economici e di monetizzazione del danno vigenti in Italia, con riferimento ad un danno sofferto da soggetti residenti all’estero e, quindi, in un diverso contesto socio-economico”. La Cassazione, con sentenza del giugno 2015 (12 giugno 2015, n. 12221) respinge però con fermezza tale motivo di ricorso, evidenziando come la giurisprudenza più recente della stessa Cassazione abbia ormai concordemente affermato che la realtà socio-economica nella quale vive il soggetto danneggiato da un fatto illecito (o il titolare del diritto al risarcimento, nel caso di prossimo congiunto di un soggetto straniero deceduto in Italia) ed in cui la somma da liquidare è presumibilmente destinata ad essere spesa è del tutto irrilevante ai fini della liquidazione del danno da illecito civile, dato che si tratta di un elemento estraneo all’ambito dell’illecito  e che – laddove venisse preso in considerazione – determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento ed una lesione del principio di integralità del risarcimento del danno non patrimoniale.

Sembra quindi, anche a seguito di questa pronuncia, essersi stabilizzato l’orientamento più recente della nostra Cassazione, la quale nega ogni rilevanza al luogo di residenza del danneggiato (sia esso la vittima primaria, che i suoi congiunti, in caso di macrolesione o decesso della vittima primaria) ai fini della determinazione dell’entità del risarcimento. Si tratta di un principio condivisibile, segno di civiltà e di rispetto del valore della persona anche alla luce dei nostri principi costituzionali, che pareva però essere stato messo in discussione, come risulta dal sintetico excursus che propongo di seguito.

2.La recente evoluzione della giurisprudenza in materia.

a)La rilevanza del luogo di residenza del danneggiato. Premesso che la questione della incidenza del luogo di residenza del soggetto danneggiato sulla monetizzazione del risarcimento a lui spettante, in ragione del diverso potere di acquisto che tale risarcimento assume nelle diverse realtà geografiche, non è giunta spesso all’esame delle Corti superiori, è interessante segnalare come essa si sia riproposta all’attenzione degli operatori del diritto quando, nel 2000, una sentenza della Cassazione civile (la n. 1637 del 14 febbraio 2000) accolse l’impostazione adottata dalla Corte di appello, la quale aveva ritenuto che, con particolare riferimento alla determinazione del danno morale, si dovesse tener conto esso assume connotazioni economiche, motivo per cui deve essere ragguagliato alla realtà socio-economica in cui vivono le persone danneggiate.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dai danneggiati, che si erano appunto visti ridotti i risarcimenti in ragione del carattere considerato non particolarmente florido e dinamico dell’area di residenza dal punto di vista economico, confermò sostanzialmente il ragionamento della Corte di appello, affermando come non fosse affatto errato ritenere che, nella determinazione (necessariamente equitativa) della somma finalizzata al risarcimento del danno morale soggettivo, dovesse tenersi conto anche della realtà socio-economica in cui vive il danneggiato. Precisava infatti che, in considerazione del fatto che il risarcimento ha funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze indotte dal fatto illecito, se l’entità delle soddisfazioni compensative ricavabili dalla disponibilità di una somma denaro è diversa a seconda dell’area nella quale il denaro è destinato ad essere speso, allora non è l’entità delle soddisfazioni a dover variare, bensì la quantità di denaro necessaria a procurarle.

L’aspetto interessante di questa sentenza risiede nel fatto che, diversamente alle altre fattispecie in cui si è discusso di questa problematica, in questo caso i cittadini aventi diritto al risarcimento erano italiani , e residenti in Italia, precisamente nella provincia di Chieti, ritenuta evidentemente area pressochè depressa e nella quale il denaro avesse quindi un potere d’acquisto maggiore rispetto ad altri luoghi del nostro paese, stante un minor costo della vita.

B-L’irrilevanza del luogo di residenza del danneggiato. L’impostazione adottata dalla sentenza della Cassazione del 2000 è rimasta però sostanzialmente isolata, in quanto già la successiva decisione dei giudici di Piazza Cavour sul punto (Cassazione civile, 18 maggio 2012, n. 7932) ha ritenuto non fondato in diritto il principio affermato dalla sentenza del 2000.

La pronuncia del 2012, infatti, afferma che nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve sì procedere con valutazione equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, ma deve pure ricordare come la fattispecie dell’illecito extracontrattuale si compone di tre elementi essenziali, rappresentati dalla condotta illecita (sia esso dolosa o colposa), dal danno e dal nesso causale tra la prima ed il secondo.

Essendo questi i tre elementi le cui circostanze sono suscettibili di incidere sulla quantificazione del risarcimento, mentre il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà od investirà il risarcimento, è invece un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell’illecito (un “posterius”, come dice la sentenza), come tale ininfluente sulla misura del risarcimento del danno.

Ancora più articolata ed interessante è la successiva, e recente, sentenza della Cassazione sul punto (Cassazione civile, 13 novembre 2014, n. 24201), in quanto immette nel proprio ragionamento elementi di civiltà e di rispetto dei valori della persona, che permeano la nostra Costituzione insieme ai principi e alle norme di origine internazionale e sovranazionale e li pone a fondamento della irrilevanza del luogo di residenza o dimora del danneggiato ai fini della determinazione dell’entità del risarcimento.

Le argomentazioni di questa sentenza meritano quindi di essere sinteticamente descritte. In primo luogo la Cassazione mostra di condividere quanto affermato nella sentenza del 2012, poco sopra accennata, per quanto attiene al fatto che il luogo ove abitualmente il danneggiato risiede è un elemento solo esterno e successivo alla fattispecie dell’illecito e, come tale, ininfluente sulla misura del risarcimento del danno. Detto questo, però, aggiunge ulteriori osservazioni. Intanto, secondo la Corte, una valutazione differenziata del danno risulterebbe in evidente contrasto con il principio di uguaglianza sancito nell’art. 3 della nostra Costituzione, principio che, secondo quanto più volte ripetuto dalla Corte costituzionale in relazione a varie fattispecie, opera anche nei confronti degli stranieri. Basti pensare, ad esempio, alla sentenza n. 450 del 2011 della Corte Costituzionale, la quale ha riconosciuto che allo straniero, anche indipendentemente dalla condizione di reciprocità, spetti il risarcimento dell’intero danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. in quanto risarcimento della lesione di un valore della persona umana (quello alla salute), costituzionalmente garantito.

Prosegue la Corte affermando come, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, non si vede la ragione per la quale uno stesso evento dannoso (nella fattispecie decisa da questa sentenza del 2014 si trattava della morte di un giovane uomo, avvenuta in Italia, marito e padre di due bambine residenti in Tunisia) possa determinare conseguenze diverse a seconda della nazionalità dei soggetti aventi diritto al risarcimento. Per giunta, la stessa Corte di cassazione, in più occasioni, ha ribadito come il risarcimento del danno debba avere come obiettivo fondamentale il ripristino del valore-uomo nella sua insostituibile unicità e, se è vero che la morte rende impossibile tale ripristino, comunque il risarcimento che ne consegue non può differenziarsi per il fatto che il denaro erogato a tale titolo sia destinato ad essere speso in un paese nel quale il costo della vita è diverso da quello dell’Italia.

Infine, la Cassazione individua un ulteriore argomento, con impostazione completamente – e giustamente – opposta – a quella che si è visto essere alla base della sentenza del 2000. Ad avviso della Cassazione, infatti, il tentativo di introdurre ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale un elemento estrinseco rispetto all’illecito, si scontra anche con l’orientamento che la Cassazione ha assunto negli anni nella materia risarcitoria. Tale orientamento, chiaramente illustrato nella nota decisione n. 12408 del 2011(quella che ha conferito alle tabelle “milanesi” il rango di tabelle nazionali), e poi ribadito in altre successive, è finalizzato, come pure è noto, ad evitare che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti uffici giudiziari. Ebbene, è evidente, secondo la sentenza della Cassazione del 2014 che stiamo ora esaminando, come una tale impostazione derivi dalla necessità di ridurre il più possibile le diversità e oscillazioni nella liquidazione del danno e pertanto, proprio in questa prospettiva, la sentenza rifiuta che il luogo di residenza dei danneggiati possa avere influenza sull’ammontare del risarcimento del danno non patrimoniale loro spettante, proprio la insostenibilità del riferimento alle diverse realtà socio-economiche in sede risarcitoria.

3.Conclusioni

La recente sentenza della Cassazione del giugno 2015, che ha fornito lo spunto per queste rapide considerazioni, si è espressa con netta fermezza ed estrema sinteticità per l’irrilevanza del luogo di residenza del danneggiato ai fini della monetizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale spettante. La sentenza, in buona sostanza, si è pressochè limitata a richiamare i due precedenti più recenti in materia (appunto le sentenze del 2012 e del 2014 di cui ho dato conto) e a considerare quindi superato il più vecchio e peraltro isolato orientamento espresso dalla sentenza del 2000. La “sbrigatività” della motivazione della Suprema Corte mi pare rappresenti il segnale che sul punto, ormai, non vi si più nulla da dire e che sia ormai consolidato il principio per cui la residenza degli aventi al risarcimento del danno non patrimoniale non può mai assurgere a criterio di determinazione del risarcimento stesso, sia che si tratti di un luogo geografico d’Italia piuttosto che di un altro, sia che si tratti di un paese diverso dall’Italia. Mi pare l’affermazione incontestabile del riconoscimento del valore della persona in quanto tale, nonché della sua dignità, caratteri che prescindono dall’analisi del costo della vita nel luogo in cui il risarcimento verrà speso o investito, dato che la persona va risarcita per il suo valore in quanto persona e non in  ragione del numero e della natura dei beni che potrebbe acquistare – in un’area geografica piuttosto che in un’altra – con il risarcimento spettante.

Avv. Leonardo Bugiolacchi

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