Il lavoratore deduce il nesso causale fra i turni così previsti e lo stress psicofisico che aveva originato le contestate inadempienze lavorative (Corte d’Appello di Roma, Sez. I Lavoro, Sentenza n. 1675/2021 del 30/04/2021 -RG n. 2348/2017)

Con ricorso in primo grado il datore di lavoro deduceva che con comunicazione del 15/4/2015 contestava al suo dipendente, di aver commesso una serie di infrazioni disciplinari, nella settimana lavorativa del 21-26/2/2015, e in particolare di non aver provveduto all’inserimento del suo codice identificativo nel DIS (Driver Information System); di non aver associato il telefono di servizio con il treno; di aver avviato il treno senza seguire la procedura per il caso di “partenza con segnale a via impedita”; di aver avviato il treno senza essersi accertato della effettiva accensione della segnalazione “porte chiuse”; di non aver rispettato la normativa di settore relativa alle modalità di ricevimento delle prescrizioni a distanza mediante comunicazione telefonica; di aver provocato venti minuti di ritardo al treno R 6286 in arrivo a Salsomaggiore, avendolo peraltro messo in movimento con le porte aperte e dunque con il rischio di ledere i viaggiatori, che si fossero trovati in quel momento a sostare o transitare sui gradini di accesso ai vagoni.

La società datrice riteneva non sufficienti le giustificazioni addotte dal lavoratore e il 4/5/2015 irrogava nei suoi confronti la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni.

Il datore di lavoro si rivolgeva al Tribunale del Lavoro di Roma e chiedeva di accertare la legittimità e la proporzionalità della sanzione disciplinare; di convertire in subordine la sanzione irrogata in una meno grave, ma comunque comportante la sospensione del lavoratore dal lavoro e dalla retribuzione; di condannare il lavoratore a pagare una multa in misura pari alla metà della retribuzione giornaliera spettante.

Il Tribunale di Roma, dichiarava la legittimità della sanzione disciplinare irrogata ma ne riduceva la durata a otto giorni.

In particolare il primo Giudice riteneva infondato quanto dedotto dal lavoratore, ossia che gli errori commessi sarebbero stati causati dalla stanchezza, a sua volta determinata dai turni pesanti peraltro stabiliti in violazione degli accordi sindacali.

Osservava, inoltre, che il lavoratore non allegava nessuna certificazione medica per provare quanto lamentato, e che anzi la visita ispettiva del 4/3/2015, cui veniva sottoposto lo stesso per accertamenti psicoattitudinali e fisici, si concludeva positivamente.

Ed ancora, rilevava che il lavoratore osservava turni di otto ore intervallate da 16 ore di riposo e che di conseguenza non erano ravvisabili circostanze esimenti o attenuanti della sua condotta.

Il lavoratore impugna la decisione di primo grado chiedendo di annullare la sanzione irrogatagli ovvero, in subordine, di convertirla in una sanzione meno grave e deducendo il nesso causale fra i turni così previsti e lo stress psicofisico che aveva originato le contestate inadempienze lavorative.

La Corte d’Appello ritiene le doglianze infondate.

Il lavoratore sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto considerare che i turni e la ripetitività del servizio a cui era stato sottoposto costituivano violazione degli accordi stipulati con le OO.SS. per la tutela della salute dei lavoratori.

Sostiene, altresì, che il Giudice di primo grado avrebbe errato nel ridurre la controversia alla mancata produzione di certificazioni mediche attestanti il nesso eziologico tra lo stress accumulato e le infrazioni commesse, nonché nel ritenere comunque ininfluente il fatto che avesse lavorato con turni di otto ore intervallate da 16 ore di riposo.

Preliminarmente la Corte dà atto che gli accordi stipulati con le OO.SS. possono essere oggetto di modifiche, sulla base delle richieste e delle esigenze personali dei singoli lavoratori, purché nel rispetto dei limiti imposti dal CCNL, la cui violazione non è stata dedotta specificamente.

Risulta dimostrato dalla documentazione prodotta in primo grado che il turno programmato per il periodo oggetto di controversia era differente da quello effettivamente osservato dal lavoratore.

Per contro, risulta anche che alcuni turni effettivamente assegnati siano stati determinati sulla base delle richieste avanzate dal lavoratore per meglio conciliare l’attività lavorativa con le esigenze personali e che, in ogni caso, erano conformi a quanto previsto dal CCNL.

Ad ogni modo, sottolinea la Corte, la verifica della presunta irregolarità dei turni non giova ai fini del decidere in quanto, a tutto voler concedere, il termine di paragone, causativo dello stato di prostrazione psicofisica lamentato dall’appellante, avrebbe dovuto essere il turno in concreto svolto dallo stesso, che -si ribadisce – essere stato predisposto in adesione alle sue specifiche richieste.

Egualmente, non giova invocare l’art. 2087 c.c., poiché laddove il dipendente non si fosse sentito in condizioni di rendere la prestazione lavorativa, avrebbe dovuto tempestivamente segnalarlo, così evitando di porre in essere prestazioni inidonee o insufficienti al grado di diligenza imposto dalla mansione ed attività da svolgere.

Alla luce di ciò l’appello viene ritenuto integralmente da respingersi.

Le spese seguono il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. e vengono considerati sussistenti le condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

In conclusione, la Corte d’Appello di Roma, rigetta l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 2.000,00, oltre accessori; dichiara sussistenti le condizioni oggettive richieste dall’art. 13 comma 1 quater del DPR 115/2002 per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

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