Così ha deciso la Suprema Corte di Giustizia, Sezione Sesta Civile-1, con l’ordinanza n. 2468 depositata l’8.2.2016

Questi i fatti.
Una società,  che svolge attività di collecting, in Italia e all’estero, quale mandataria per la gestione, l’incasso e la ripartizione dei diritti dei produttori fonografi consorziati, promuoveva un giudizio nei confronti di un medico odontoiatra, chiedendo di accertarsi che questi nel proprio studio privato effettuava la diffusione, in sottofondo, di fonogrammi oggetto di privativa e che tale attività, costituendo comunicazione al pubblico ai sensi della legge italiana sul diritto d’autore, nonché del diritto internazionale uniforme a quello comunitario, era soggetta alla corresponsione di un equo compenso, da liquidarsi in separato giudizio.
Il medico nel resistere in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda.
Il giudice di prime cure accoglieva la domanda proposta dalla società e avverso detta sentenza il medico proponeva appello dinanzi alla Corte territoriale, che  rigettava la proposta impugnazione, confermando la pronuncia impugnata. Il medico odontoiatra proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi. In base al primo la Corte d’Appello si sarebbe volutamente discostata dalla pronuncia resa dalla Corte di Giustizia, in data 15 marzo 2012 n. 162/12, su questione analoga, in cui il giudice Europeo aveva escluso che, nel caso della clientela degli studi dentistici, si fosse in presenza di un “pubblico” che giustificasse l’applicazione degli artt. 73 o 73 bis l.d.a..
Gli Ermellini ritengono il motivo fondato, rammentando che il dictum della Corte di Giustizia costituisce una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado di giudizio; con la conseguenza che la sentenza della Corte di Giustizia è fonte di diritto oggettivo (Cass. 17994/15; Cass. 1917/12; Cass. 4466/05; Cass. 857/95).
Da ciò discende che la Corte di Appello non avrebbe dovuto disattendere l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, che è l’unica deputata alla interpretazione delle norme comunitarie, stante il fatto che la vicenda oggetto di decisione da parte del giudice di Lussemburgo è del tutto simile a quella di cui si discute nel caso de quo, né la Corte territoriale ha in via di fatto accertato una situazione dello studio dentistico tale da far escludere che potessero ricorrere nella specifica fattispecie le condizioni per l’applicazione dei principi stabiliti dalla Corte di Giustizia.
Invece, la sentenza impugnata ha espressamente affermato che la sentenza della Corte di Giustizia del 15.3.12 n. 612 “ancorché intervenuta in una vicenda del tutto simile a quella dedotta in questo giudizio, non può vincolare in alcun modo questa Corte che rimane libera di condividere oppure di criticare i criteri adottati, fermo ovviamente il vincolo della motivazione relativamente a questi ultimi”.
I Supremi giudici sottolineano che l’interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla Corte di Giustizia può e deve essere applicata dal giudice anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa (cfr. CG C-231/96; C- 61/79; Cass. 17994/15 in fattispecie del tutto analoga alla presente).
Su tale questione gli Ermellini hanno più volte ribadito che dalla natura dichiarativa delle sentenze della Corte di Giustizia discende l’efficacia retroattiva, sin dal momento dell’entrata in vigore delle norme interpretate. La retroattività indica che il diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte suddetta, può essere applicato ad ogni rapporto giuridico già sorto, purché non esaurito.
Ciò vale non soltanto per le pronunce rese in sede di interpretazione, ma anche per quelle in sede di apprezzamento di validità. (Cass. 7105/98 – Cass. 8504/99). È stato anche sottolineato che la pronuncia comunitaria, non può configurarsi come espressione di “overruling” e, come tale, inidonea ad operare retroattivamente (Cass. 13087/12).
Recentemente le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 13676 del 2014, hanno ribadito che l’efficacia retroattiva di dette sentenze, come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale, incontra solamente il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche.
Inoltre, deve essere  ricordato l’importante principio affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 22577 del 2014, in base al quale, l’interpretazione del diritto comunitario, adottata dalla Corte di giustizia, ha efficacia “ultra partes”,  e pertanto, alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito della Comunità.
A tal proposito la Corte ritiene manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla contro ricorrente, avendo la stessa Cassazione, già affermato che in tema di efficacia del diritto comunitario, il fondamento della diretta applicazione e della prevalenza delle norme comunitarie su quelle statali si rinviene essenzialmente nell’art. 11 della Costituzione, laddove ristabilisce che l’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.
E’ compito della Corte di Giustizia, ex art. 164 del Trattato, assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del medesimo trattato. Da ciò deriva che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative. (Cass. 4466/05).
La Consulta ha poi in particolare affermato che tale efficacia va riconosciuta a tutte le sentenze della Corte di Giustizia, sia pregiudiziali ex art. 177 del Trattato (Corte Cost. n. 113/85), sia che siano emesse in sede contenziosa ex art. 169 dello stesso Trattato (Corte Cost. n. 389/89, come la precedente richiamate da Corte Cost. n. 168/91).
Le valutazioni già espresse dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte portano dunque a far ritenere la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata, tra l’altro formulata genericamente, atteso che la stessa è stata posta in riferimento agli articoli da 360 a 391 del c.p.c. e quindi in relazione all’intera normativa che disciplina il giudizio di cassazione, senza invece indicare specificamente le norme che in relazione alla fattispecie concreta potevano dar luogo a dubbi di costituzionalità secondo la prospettazione della contro ricorrente.
La sentenza impugnata ha inoltre ritenuto che esistesse un contrasto all’interno delle stesse sentenze della Corte di Giustizia alcune delle quali, come ad esempio quelle n. 306/06 Sgae e n. 162/12 PPL, relative alla comunicazione al pubblico negli alberghi, avrebbero dato decisioni di segno opposto a quella adottata per gli studi dentistici.
In verità il contrasto non sussiste, posto che la Corte di Giustizia ha applicato il medesimo principio a fattispecie diverse per cui, in alcuni casi, ha ritenuto sussistere una comunicazione al pubblico ed in altri l’ha esclusa ritenendo che, come nel caso de quo, la limitatezza del numero di persone non costituisse pubblico.
Inoltre, in aggiunta a tale argomentazione, la Corte del Lussemburgo ha ritenuto che la mancanza di rilevanza economica della trasmissione, non facesse ricorrere gli estremi della comunicazione al pubblico.
Si sottolinea che la sentenza della Corte di Giustizia 2006 SGAE ha affermato ai punti 38 e 39 che “bisogna tener conto non solo dei clienti che si trovano nelle camere dell’albergo, ai quali unicamente si fa riferimento nelle questioni pregiudiziali, ma anche dei clienti che sono presenti in qualsiasi altro spazio del detto stabilimento e hanno a loro portata un apparecchio televisivo ivi installato e, dall’altro, occorre prendere in considerazione il fatto che, abitualmente, i clienti di un tale stabilimento si succedono rapidamente. Si tratta in generale di un numero di persone abbastanza rilevante, di modo che queste devono essere considerate come un pubblico in considerazione dell’obiettivo principale della direttiva 2001/29 (omissis). Tenendo conto, del resto, degli effetti cumulativi che derivano dal fatto di mettere a disposizione opere presso tali telespettatori potenziali, tale messa a disposizione può assumere in un tale contesto un’importanza rilevante”.
Ebbene, gli stessi principi sono stati applicati dalla sentenza della Corte di Giustizia n. 162/12 Del Corso a proposito degli studi dentistici.
La sentenza de qua ha richiamato i precedenti specifici in materia di definizione di pubblico osservando che “il pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, riguarda un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende, peraltro, un numero di persone piuttosto considerevole“.
Inoltre la pronuncia ha poi chiarito al punto 86 che “relativamente, poi, al criterio attinente ad un numero di persone piuttosto considerevole, quest’ultimo mira a porre in evidenza che la nozione di pubblico comporta una certa soglia de minimis, il che esclude da detta nozione una pluralità di interessati troppo esigua, se non addirittura insignificante” e ha  specificato al punto 87 che “sotto questo profilo è rilevante non soltanto sapere quante persone abbiano accesso contemporaneamente alla medesima opera, ma altresì quante fra di esse abbiano accesso alla stessa in successione“, per concludere quindi al par. 96 che “riguardo all’importanza del numero delle persone per le quali il dentista rende udibile il fonogramma diffuso, si deve constatare che, trattandosi dei clienti di un dentista, tale pluralità di persone è scarsamente consistente, se non persino insignificante, dal momento che l’insieme di persone simultaneamente presenti nel suo studio è, in generale, alquanto ristretto. Inoltre, benché i clienti si succedano, ciò non toglie che, avvicendandosi, detti clienti, di norma, non sono destinatari dei medesimi fonogrammi, segnatamente di quelli radiodiffusi“.
I principi in questione sono stati espressamente richiamati dalla sentenza della Corte di Giustizia 162/12 PPL e più recentemente confermati dalle sentenze della Corte di Giustizia 607/13 ITV e n 351/14 Osa.
Tutte le sentenze della Corte di Giustizia menzionate hanno dunque applicato i medesimi principi e, nel caso degli studi dentistici, la sentenza 162/12 è giunta alla conclusione che i clienti che si susseguono in uno studio dentistico non costituiscono un numero di persone particolarmente considerevole da costituire un pubblico.
La sentenza in questione non si pone dunque in alcun modo in contrasto con i principi elaborati dalle altre decisioni della Corte di Giustizia.

Avv. Maria Teresa De Luca

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