Trasfusioni e danno da HCV, la Cassazione chiarisce il dies a quo della prescrizione

0
Infezione da HCV e Linfoma N.H. di derivazione correlata

Marito e figlia chiedono il risarcimento per la madre, colpita da HCV a seguito di trasfusioni nel 1969. La Corte di Cassazione chiarisce che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da HCV decorre dalla consapevolezza della correlazione tra malattia e trasfusione, non dalla sola diagnosi della patologia. Tribunale e Corte di appello rigettano la domanda perché ritengono prescritto il diritto. La diagnosi della patologia non implica la consapevolezza, in capo alla vittima, della riferibilità della stessa alla trasfusione, in difetto di specifica ovvero idonea informazione da parte di medici (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 30 settembre 2025, n. 26399).

La vicenda

Marito e figlia della vittima chiedono al Ministero della Salute il risarcimento dei danni derivati alla congiunta dalla contrazione d’infezioni e danno da HCV ed epatite susseguenti a trasfusioni eseguite in ospedale pubblico nel 1969.

Secondo la loro tesi: la relazione causale era dimostrata dal verbale della Commissione Medica Ospedaliera del 2007. Nel 1983 la vittima aveva effettuato scintigrafia epatica con diagnosi di “Storia di ipertransaminasemia da 7 anni… Riscontro obiettivo di lobo sinistro ingrandito. Anamnesi: … mai ittero, diverse emotrasfusioni 13 anni fa per isterectomia. Asintomatica. … Scintigrafia epatica … Il quadro depone per epatopatia cronica, da definire istologicamente”.
Sempre nel 1983 la paziente eseguiva un esame istologico da agobiopsia epatica con diagnosi “Disegno lobulare conservato nella grande prevalenza della superficie esplorata. Tuttavia, la fibrosi portale con setti a partenza portale e qualche occasionale atteggiamento rigenerativo curvilineo suggeriscono un processo potenzialmente capace di evolvere in cirrosi. … Gli spazi portali ne risultano ingranditi, ma la periportite è modesta. Presenza di fenomeni citolitico-infiammatori focali e disseminati”.

Nell’anno 1996 i medici accertano la positività al test degli anticorpi anti-HCV o HCVAb del virus dell’epatite C, con valori delle transaminasi sopra la norma e la positività quantitativa all’HCV-RNA, con successiva diagnosi di epatite cronica HCV, correlata con genoma virale 2a/2c. Nello stesso anno la vittima aveva presentato domanda d’indennizzo ai sensi della Legge n. 210 del 1992.

Prescritto il diritto risarcitorio per il danno da HCV

Riassunta la vicenda clinica, Tribunale e Corte di appello rigettano la domanda ritenendo prescritto il diritto risarcitorio. In particolare viene sottolineato che:

  • dal 1996 la vittima era consapevole di essere affetta da epatite cronica correlata al virus dell’epatite C.
  • Essendo il virus dell’epatite C una malattia del fegato trasmissibile mediante contatto con sangue infetto, la donna poteva “collegare che il sangue infetto proveniva dalla trasfusione di sangue che era stata eseguita nel 1969, stante la risonanza del fenomeno del “sangue infetto” a partire degli anni 90, successivamente alla scoperta avvenuta nel 1988 dell’HCV”.
  • In altri termini, essendo “notoria la risonanza del fenomeno del “sangue infetto” a partire degli anni 90, successivamente alla scoperta avvenuta nel 1988 dell’HCV, a fronte della diagnosi in precedenza formulata e degli accertamenti di laboratorio successivamente eseguiti, la vittima, quantomeno a decorrere dal 1996 non poteva che conoscere o, comunque, individuare, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che la causa della sua epatite era nella trasfusione di sangue che le era stata effettuata nel 1969″, con conseguente prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno oggetto di domanda.

La Corte di Cassazione è chiamata per valutare la correlazione tra l’ordinaria diligenza alle conoscenze mediche diffuse, mancando al contempo di apprezzare che la diagnosi della patologia non implica la consapevolezza, in capo alla vittima, della riferibilità della stessa alla trasfusione, in difetto di specifica ovvero idonea informazione da parte di medici.

Giudizio di inammissibilità della Cassazione

Innanzitutto, viene rammentato il principio di diritto secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita – o possa essere percepita usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo.

Quindi, il Giudice di merito ha errato affermato che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare casualmente la propria patologia alla trasfusione.

Al riguardo, la S.C. ha poi specificato che “la consapevolezza idonea del danno da HCV a far decorrere il termine di prescrizione è da apprezzarsi tenendo conto che per il quivis de populo il naturale mediatore della conoscibilità della riconducibilità, allorquando non si dimostri una sua particolare attitudine ad acquisirla, non può che essere l’indicazione del medico e, pertanto, di norma, deve ritenersi che occorra che il collegamento sia frutto di tale specifica indicazione”.

Nel caso concreto, la Corte di secondo grado ha desunto la possibilità di collegare la diagnosi alla trasfusione proprio dalla riferita risonanza pubblica del fenomeno del sangue infetto, intervenuta a partire dagli anni 90, e non vi è censura specifica su tale assunto “patrimonio di comuni conoscenze” divenute proprie dell’uomo medio indicato a sua volta come fatto notorio (censura sul punto ammissibile come di recente da Cass., 15/02/2024, n. 4182).

La consapevolezza della riferibilità della malattia alla trasfusione

la Corte ha, cioè, ritenuto che la diffusione delle conoscenze mediche – cui rapportare l’ordinaria diligenza– nella misura in cui erano divenute di pubblico dominio, aveva superato la necessità di una specifica indicazione medica, sicuramente necessaria di norma, come osserva il precedente testè riportato con riferimento a un’ipotesi di conoscenza di utile esercizio del diritto entro la fine degli anni 90.

L’accertamento della possibilità di acquisire così, entro gli anni 90, consapevolezza della riferibilità della malattia alla trasfusione, con conseguenze prescrizione quinquennale intervenuta al primo esercizio del diritto nel 2006, risulta in questi termini un accertamento in fatto non viziato e non riesaminabile.

I giudici ribadiscono che il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da attività sanitaria s’identifica non con quello della verificazione materiale dell’evento lesivo, bensì con quello (che può non coincidere col primo) in cui il pregiudizio, alla stregua della diligenza esigibile all’uomo medio ovvero del livello di diffusione di alcune conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico (con consapevolezza acquisibile quindi dall’uomo medio anche aliunde rispetto a specifiche informazioni del singolo sanitario), possa essere astrattamente ricondotto alla condotta colposa o dolosa del sanitario, e il relativo accertamento è oggetto di un giudizio di fatto, censurabile in Cassazione nei limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., salva preclusione derivante, come nel caso che ci occupa, dalla doppia decisione conforme di merito.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui