Nell’immaginario collettivo, il Pronto Soccorso (PS) è forse uno dei pochi luoghi capaci di aiutare le persone. Non è sempre così. In questo discorso, il medico di base ricopre un ruolo fondamentale. Per saperne di più ne abbiamo parlato con il nostro esperto, il dott. Leonardo Donati.


Sergio Venturi, assessore regionale alla sanità in Emilia Romagna, ha affermato che “i medici devono uscire dagli ospedali e collaborare con quelli di famiglia”. Su quasi due milioni di accessi in tutta la regione uno su quattro è risultato inappropriato. Lei cosa ne pensa?

 Forse gli accessi impropri al PS sono anche di più di 1 su 4. Quello che penso io è che più che uscire i medici dagli ospedali, dovrebbero essere i medici di famiglia a cominciare ad entrare in ospedale per vedere quanto gli ospedalieri, in particolare i medici d’urgenza, perdano del tempo prezioso con pazienti che dovrebbero essere gestiti dal proprio medico di famiglia. Per fare una verifica di questo basterebbe vedere quanti utenti accedono in PS per sintomi come la febbre, mal di gola, mal d’orecchie, ecc. Spesso, purtroppo, i medici di famiglia risultano irreperibili agli utenti, pertanto questi non hanno altra soluzione se non quella di recarsi al più vicino PS. In alcuni casi sono anche gli utenti a sopravvalutare i sintomi che avvertono, sentendo subito la necessità, anche a fronte di sintomi di scarsa entità, di trovare una risposta immediata al loro problema e spesso si trovano ad attendere ore ed ore, visto proprio il loro basso livello di priorità di accesso in triage.

In merito alla scarsa efficienza della figura del medico di famiglia (salvo alcuni casi), devo dire che questa emerge dalle conversazioni che ogni giorno facciamo noi medici d’urgenza con gli utenti che si rivolgono al PS. Non so quale sia la causa della loro scarsa risposta alle esigenze della cittadinanza; forse hanno troppi pazienti o hanno altre cose da fare o lo fanno semplicemente per scaricare alcune responsabilità; non lo so.

 Questo non incide sull’importanza del Triage?

No, perché una volta che il paziente si trova al Pronto Soccorso non può essere mandato a casa senza essere stato visitato, quindi poco o nulla fa il triage per evitare accessi impropri; tutt’al più può ritardare l’accesso improprio, prolungandone l’attesa in favore dei casi che sono propriamente urgenti.

Quando l’accesso viene registrato al Triage di fatto il paziente viene immesso alla visita di Pronto Soccorso, quindi se un accesso è improprio, ormai sta già occupando del tempo prezioso ad un operatore.

 Il sistema di accessi, secondo lei, andrebbe aggiornato?

 Non penso ci siano correttivi da fare sul Triage in quanto la questione va risolta a monte. Quando si arriva al Triage il paziente, come detto prima è già un paziente del PS. Capita che il medico di famiglia invii pazienti al pronto soccorso anche per un semplicissimo rialzo pressorio in assenza di sintomi correlati. Non ci si pone più il problema dei segni e dei sintomi o dell’esame obiettivo, ma ci si sofferma solo sul dato strumentale e pur di non dover perdere troppo tempo con quel paziente che avrebbe spesso solo necessità di essere rassicurato, si invia al PS, provocandogli ulteriore stress. Non so se questo possa essere definito un atteggiamento basato su medicina difensiva, però danneggia gravemente il SSN. Non molto tempo fa esisteva un efficacissimo (secondo me) strumento per alleggerire i PS ed era quello della prestazione in H72; questo H72 era un sistema che permetteva al medico di famiglia di mandare un paziente a fare un esame in regime di “urgenza” (non emergenza) nell’arco delle 72 ore, previ accordi con il medico dell’ospedale.
Quello che però lascia maggiormente perplessi è il perché formalmente questo strumento esista ancora però non venga più utilizzato. A pensar male ci potremmo chiedere se la prestazione possa incidere in qualche modo sul budget che il medico di famiglia ha a disposizione, pertanto un invio al PS permetterebbe di evitare “sforamenti”, però non possiamo esserne sicuri. In definitiva quindi penso che il problema degli accessi impropri al PS possa essere risolto soltanto potenziando la medicina del territorio, rendendola adeguata alla domanda di salute di quel territorio e questo si potrebbe fare soltanto assumendo i medici di famiglia come dipendenti pubblici, vincolandoli in un rapporto di esclusività; questo permetterebbe sicuramente un risparmio economico per le ASL, permetterebbe un controllo diretto sulle performance, ma soprattutto permetterebbe di modulare il loro lavoro in base alle esigenze aziendali di rispondere alla domanda di salute del cittadino. I medici ospedalieri, invece, devono assolutamente stare in ospedale, perché è da li che possono e devono dare il meglio nell’ambito della loro diversa estrazione specialistica.

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