Il 37% degli italiani non ne ha mai sentito parlare, eppure il tumore alla vescica è diffuso ma si può prevenire

Il 78% degli italiani non sa che questa patologia può essere prevenuta e il principale fattore di rischio è rappresentato dal fumo. Segnalato dalla presenza di sangue nelle urine è visibile a occhio nudo e non solo al microscopio. A ciò si aggiunge il fatto è spesso è indolore. È il tumore alla vescica che si manifesta con la necessità di urinare frequentemente accompagnata dall’urgenza e dolore durante la minzione. Il primo fattore di rischio è costituito dal fumo.
Colpisce ogni anno 26.000 persone e aumentano i nuovi casi. Tuttavia se ne parla poco tanto che molti italiani non ne conoscono neppure l’esistenza. Il 37% non ne ha mai sentito parlare, secondo il 68% è inguaribile e il 78% non sa che si può prevenire. Il 52% ignora che interessa soprattutto gli uomini e solo il 23% considera il fumo possibile causa.
Questa la fotografia scattata da un sondaggio su 1.562 persone dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom). L’indagine fa parte di ‘Non avere TUTimore’, campagna dedicata alla sensibilizzazione sul Tumore Uroteliale.
Sette italiani su dieci non sanno che attraverso stili di vita sani è possibile evitare il cancro – afferma Carmine Pinto, Presidente Aiom – il 24% fuma regolarmente e la metà almeno un pacchetto al giorno. Questo vizio è la causa di circa il 50% di tutti i tumori del tratto urinario. La presenza di sangue nelle urine rappresenta un campanello d’allarme. Il persistere o ripetersi deve rappresentare un segnale forte da non sottovalutare. Solo il 29% informa il proprio medico“.
Secondo il Direttore del Dipartimento Oncologico Azienda USL Toscana Sud-est di Arezzo Sergio Bracarda “Il 78% dei pazienti italiani riesce a sconfiggere questo tumore. Finora in fase avanzata è stato principalmente trattato con la chemio, ma non sempre in modo ottimale, per la presenza di complicanze come l’insufficienza renale. E’ difficile da curare perché colpisce soprattutto persone anziane e quindi spesso con altre malattie. Studi clinici hanno evidenziato – prosegue Bracarda – il ruolo dell’immunoterapia con l’introduzione di anticorpi anti-PD1 e anti-PD-L1. Questi farmaci hanno dimostrato di essere efficaci e meglio tollerati rispetto alla tradizionale chemio”.
 
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